Così muore una Mamma Coraggio


Paolo Sapegno


Presi i killer della donna che accusò lo stupratore della figlia. Il sindaco: «Aveva paura, ma si era decisa ad andare avanti».


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Così muore una Mamma Coraggio

Forse hanno già preso i suoi assassini. Ma quello che resta è il mondo sconfitto di Mamma Coraggio: da noi, la virtù non paga mai. Viviamo in un Paese come questo, con la quinta della casa in ombra, affacciata su un vicolo un po’ slabbrato, le due macchine ferme all’imbocco, e tutto così tristemente senza luce, adesso, come dentro la cucina, dove Giovanna Castaldo, la nonna delle due figlie di Teresa, accoglie gli amici e i parenti per piangere un’altra donna perduta nel mondo degli orchi. Oggi, la polizia il suo dovere l’ha fatto: ha arrestato Alberto Amendola e Giuseppe Avolio.

In cella per aver assassinato due giorni fa in via Sponsilli, «scappando a bordo di uno scooter», Teresa Buonocore, la mamma che aveva fatto condannare in primo grado, a 15 anni di carcere, Enrico Perillo, per aver molestato la sua bambina. Il magistrato, Giovandomenico Lepore, ieri ha spiegato che «questo omicidio è il risultato di una prolungata pianificazione, preceduta anche da sopralluoghi e pedinamenti della vittima». Ci sono anche due indagati: Lorenzo Perillo, fratello di Enrico, e Patrizia Nicolino, la moglie. Sarebbe, cioè, un delitto voluto per uccidere una madre che aveva avuto il coraggio di ribellarsi ai soprusi più vergognosi.

Eppure, non c’è solo questo. Teresa Buonocore ha sacrificato la sua vita in nome della Giustizia, per sua figlia. Ma dentro a questo posto, dentro a Portici, tutto ha un valore così relativo e le storie si intrecciano dentro ad altre storie, come in un carcere a cielo aperto. Storie di donne e storie di paura, come quella che adesso racconta il sindaco, Vincenzo Cuomo: «Teresa aveva paura, dopo la denuncia, e mi aveva chiesto aiuto». Giovanna Castaldo, la nonna, ricorda che «tre anni fa ci bruciarono il portone di casa». Lei tirò dritto come sempre. Ma nessuno fece niente. Nelle celle di questa vita, sua figlia era compagna di scuola della figlia di Patrizia Nicolino, la moglie dell’uomo accusato di pedofilia. Si incontravano tutti i giorni, qualche volta entravano anche insieme, percorrendo a disagio le stesse scale e i corridoi rumorosi. Patrizia lavora in ospedale come medico, e i suoi colleghi di reparto ne parlano tutti bene. Dicono che «è una persona molto silenziosa». Ha due figlie giovani. Due ragazzine. Proprio come Teresa Buonocore, che lascia una bambina di dodici anni e un’altra di dieci. «Ora bisogna difendere, tutelare e aiutare le sue bambine», dice il sindaco, con un filo di disperazione. Già, ma che cosa può fare davvero un mondo che, alla resa dei conti, fino a ieri li aveva sempre lasciati soli? Anche Giovanna Castaldo adesso è da sola. E’ inferma. Vive in questa cucina. Prima a lei ci pensava Teresa: si alzava alle 7, faceva colazione per tutte le donne di questa casa, portava le bimbe a scuola e poi andava a lavorare fino all’ora di pranzo. «Usciva canticchiando». Tornava a casa per pranzo, e nel pomeriggio aiutava le piccole a studiare. «Sognava un grande futuro per loro: erano il suo orgoglio». Questo era il suo coraggio, dice nonna Giovanna, e ha ragione lei, «il coraggio di tutti i giorni, quello di cercare un lavoro, di far studiare le bimbe, di dedicarsi alla famiglia». Il coraggio delle donne.

Poi ci sono gli uomini di questa storia. Lorenzo Perillo, titolare di una società di recapiti postali, è soprattutto impegnato in politica. Aveva cominciato nell’Msi, adesso è nel Pdl. Alle ultime comunali aveva preso 166 voti. Uno degli arrestati, Alberto Amendola, 26 anni, invece era un paziente di Patrizia. Faceva tatuaggi e su Facebook scriveva così: «Amo la mia arte magica del tatuaggio, credo in me stesso». Come se i tatuaggi fossero solo suoi. Aveva 1500 amici. Tra le foto mischiava un Gesù Cristo con il simbolo della discoteca Pacha di Ibiza e immagini di pistole di tutti i tipi. Appena ieri ringraziava gli amici: «Grazie a tutti voi per i magnifici complimenti per il mio lavoro». L’altro arrestato, Giuseppe Avolio, 21 anni, si definisce un fan di Al Capone. Scrive: «Chi non è con me, è contro di me» (ma gli accenti li abbiamo aggiunti noi) e «La pace mi piace, ma la guerra non mi dispiace». Racconta con molto orgoglio di essere «cresciuto in mezzo a gente dura. E noi dicevamo che si ottiene di più con una parola gentile e una pistola che solo con una parola gentile». La sua laurea specialistica, dice, sono «le armi e la droga». Sulla politica, il solito commento moralistico: «Destra e sinistra, sempre mafia è». Non è che sia molto chiaro detto da uno che adora Al Capone. Però, è così. I suoi film preferiti sono «Il capo dei capi», la fiction tv sulla saga di Totò Riina, e una pellicola Anni 70 sulla camorra, «I guappi», con Franco Nero e Fabio Testi. Sono tutti su Facebook, perché adesso il mondo è fatto così, e c’è anche Lorenzo Perillo con le foto dell’onorevole e del consigliere regionale tutti Pdl, e c’era pure Teresa Buonocore con molti meno amici di quelli che aveva l’uomo dei tatuaggi, perché nell’Italia delle beghe e dei padroni, nell’Italia dei più forti e delle ingiustizie, non c’è tanto spazio per quelli che hanno semplicemente il coraggio di vivere. Lei, la sua pagina di Facebook l’aveva aperta con l’appello di Sakineh, che era anche il suo, in fondo, e di molte altre donne: «Dite a tutto il mondo che ho paura di morire».

Fonte: La Stampa

23 settembre 2010

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