Per difendere Sakineh ho dovuto lasciare l’Iran
Marina Mastroluca
“Sakineh è stata condannata alla lapidazione solo per aver avuto una relazione telefonica con un uomo. L’omicidio non c’entra”. Mohammed Mostafei è stato uno degli avvocato di Sakineh Mohammadi Ashtiani, la donna iraniana di 43 anni in attesa dell’esecuzione dopo una condanna per adulterio.
Da sempre impegnato nella difesa dei diritti umani – ha rappresentato anche la pittrice Delara Derabi, impiccata a 22 anni – ora difende Sakineh da lontano. Mostafei è stato costretto a lasciare l’Iran, l’aria era diventata irrespirabile, ha capito che rischiava grosso. «Ho attraversato il confine con la Turchia camminando cinque ore a piedi e altrettante in groppa ad un cavallo. Arrivato a Istanbul, mi sono consegnato alla polizia». Per una settimana è stato trattenuto per ingresso illegale nel paese. La Norvegia gli ha offerto asilo. Ora Mostafei è in ansia per la moglie e la figlia di sette anni rimaste in Iran. In ansia per loro e per il Paese in cui un giorno vorrebbe tornare.
Avvocato, lei è stato tra i primi ad essere arrestati dopo le proteste seguite alle elezioni del 2009. Perché stavolta ha deciso di andarsene?
«Quando hanno arrestato mia moglie e mio cognato, senza nessun motivo, ho capito che non potevo restare. Li hanno letteralmente presi in ostaggio, mi è stato che li avrebbero rilasciati se mi fossi consegnato. Il loro arresto è stato un atto illegale, come lo sarebbe stato il mio».
Di che cosa la accusano?
«Non c’è nessuna accusa formale contro di me. Ma ha a che fare con la mia attività di avvocato dei diritti umani. Era il ministero dell’informazione che voleva che mi consegnassi».
C’entra il caso di Sakineh?
«Penso di sì. Ma stavo seguendo anche molti altri casi: condanne a morte di minori, condanne alla lapidazione – sono 13 al momento. E poi casi connessi agli eventi del dopo-elezioni. In particolare ho seguito 40 minori condannati a morte, 18 sono riuscito a salvarli. Quattro condanne sono state invece eseguite: erano tutti ragazzi al di sotto dei 18 anni. Anche questo sarebbe illegale, per la legge iraniana».
Perché il caso di Sakineh preoccupa tanto le autorità iraniane?
«Perché è diventato un caso internazionale, governi di diversi paesi hanno fatto pressione su Teheran. Questo spiega la loro suscettibilità».
Colpire lei in questo momento non rischia allora di essere un auto-goal, attirando maggiore attenzione?
«Non credo che siano davvero preoccupati di questo. Di sicuro l’aggressività mostrata con me è il sintomo di un peggioramento della situazione in Iran per quanto riguarda i diritti umani. Non c’è stato nulla di legale nelle pressioni su di me e sulla mia famiglia, la presa di ostaggi è un atto non previsto dalla legge iraniana. Quanto mi è successo significa che si sta riducendo il margine d’azione per chi prova a far valere i diritti delle persone. Di sicuro è il segno di un peggioramento».
Sakineh è apparsa sulla tv iraniana e si è auto-accusata di complicità nell’omicidio di suo marito. Che cosa ne pensa?
«È stata torturata per farlo, hanno voluto metterla in una pessima luce per disorientare l’opinione pubblica. La ragione per cui è stata condannata alla lapidazione è in realtà una relazione telefonica: non c’è stato sesso, nessun contatto fisico. Il caso dell’omicidio di suo marito è stato chiuso: c’è un colpevole, lei è stata condannata a cinque anni per una presunta complicità. Ora ha scontato la pena, ma la vogliono lapidare per adulterio».
In dichiarazioni fatte arrivare al Guardian, Sakineh ha accusato le autorità iraniane di mentire sui crimini che le sono contestati, sostenendo che il motivo vero per cui è stata condannata a morte è perché è una donna.
«Le donne sono molto più deboli davanti alla legge iraniana, questo è un dato di fatto. Dimostrare la loro innocenza è più difficile: qualunque sia il reato contestato sono considerate più colpevoli degli uomini. In questo senso Sakineh ha ragione».
Che cosa succederà adesso a questa donna? Il suo legale ha chiesto la revisione del processo.
«Al momento il suo caso è stato sospeso. Ma Sakineh rischia ancora l’esecuzione».
Fonte: www.unita.it
18 Agosto 2010