Siria, sette giorni di tregua


Michele Giorgio


Rimane il sospetto che gli accordi siano destinati a cristallizzare la situazione e a preparare il terreno ad una partizione del Paese che faccia anche gli interessi della Turchia di Erdogan.


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In tempo di guerra la credibilità di qualsiasi accordo è sancita sempre dalla applicazione sul terreno dei punti dell’intesa e dalle sue prospettive reali. Per questa ragione solleva non pochi interrogativi l’annuncio fatto nella notte tra venerdì e sabato, al termine di 13 ore di negoziati a Ginevra tra il Segretario di stato Usa John Kerry e dal ministro degli esteri russo Serghiei Lavrov, che a partire dal tramonto di domani, il primo giorno della festa islamica dell’Eid al Adha, avrà inizio il tanto atteso cessate il fuoco in Siria.

Sarà questo, nelle intenzioni espresse da Washington e Mosca, il primo passo verso il coordinamento delle operazioni militari dei due Paesi contro lo Stato Islamico (Isis) e un’altra organizzazione jihadista, an Nusra (al Qaeda in Siria, ora nota come Fatah al Sham) e per il congelamento degli attacchi aerei da parte delle forze governative siriane sulle postazioni dei «ribelli» nei quartieri orientali di Aleppo e di altre città. Se la tregua sarà rispettata, allora, auspicano Usa e Russia, si aprirà la strada a un compromesso politico tra le parti volto a mettere fine a oltre cinque anni di una guerra che ha fatto centinaia di migliaia di morti e provocato la fuga dalla Siria di milioni di persone.

Quali sono le parti che hanno i titoli per negoziare questa intesa politica? Il presidente Bashar Assad, il suo governo e il segmento più politico dell’opposizione? Oppure al tavolo delle trattative prenderanno posto anche quelle formazioni jihadiste radicali come Jaiysh al Islam e Ahrar al Sham imposte come «partner rispettabili» dall’Arabia saudita, dal Qatar e altri attori regionali?

E tra i tanti interrogativi c’è anche un dubbio, anzi il sospetto fondato che questo accordo di cessate il fuoco sia frutto di intese trovate non l’altra notte a Ginevra bensì nei giorni scorsi assieme a molti più attori, perché destinate a cristallizzare la situazione ad Aleppo e nel resto della Siria e a preparare il terreno ad una partizione del Paese che faccia anche gli interessi della Turchia di Erdogan.

Ankara nei giorni scorsi ha creato (in accordo con Mosca e Washington?) una prima zona cuscinetto all’interno del territorio siriano volta ad aiutare i «ribelli» e ad impedire l’autodeterminazione del popolo curdo. Il cessate il fuoco serve anche a contenere le aspirazioni dei curdi, alla luce del prestigio militare e politico (ormai di livello mondiale) che hanno ottenuto strappando all’Isis prima Kobane e poi Manbji. Gli ultimi colloqui tra Mosca e Ankara e tra Ankara e Washington non possono non aver riguardato anche questo.

L’accordo di cessate il fuoco di Ginevra è a chiaro vantaggio dell’opposizione siriana e dei «ribelli» in difficoltà di fronte alle ultime offensive dell’esercito siriano. Mosca ha fatto sapere di aver informato Damasco e di aver ottenuto da Assad il via libera al cessate il fuoco mentre sull’altro fronte le voci sono tante e diverse ed è legittimo dubitare della «capacità di persuasione» di Washington su formazioni e gruppi armati che, peraltro, non rispondono in alcun modo al coordinamento dell’opposizione «moderata» Hnc. E se Lavrov sottolinea la volontà comune di Usa e Russia di combattere il terrorismo, Kerry è stato categorico quando ha spiegato che «la base dell’accordo» sta nello stop imposto all’aviazione siriana di attaccare i «ribelli».

Per il Segretario di Stato Usa, la «causa principale di vittime civili e del flusso di migranti» sarebbero proprio i raid dell’aviazione. Gli Usa neppure conteplano l’idea che per proteggere i civili siriani e garantire il passaggio sagli aiuti umanitari per Aleppo, occorra obbligatoriamente imporre ai miliziani di an Nusra, Ahrar al Sham e di altre formazioni jihadiste di lasciare subito la città.

Al contrario l’accordo stabilisce la fine dell’accerchiamento della zona Est di Aleppo da parte dell’esercito governativo – rotto a fine luglio da migliaia di jihadisti guidati da an Nusra e Ahrar al Sham e ristabilito dalle truppe di Damasco nei giorni scorsi -, la riapertura della Castello Road, che non garantisce solo i rifornimenti ai civili ma anche armi e mezzi ai jihadisti, e la creazione di zone smilitarizzate alla periferia della città. In pratica blocca l’offensiva governativa per la ripresa di Aleppo occupata per metà dai «ribelli».Il coordinamento militare «antiterrorismo» Usa-Russia è vago e, comunque, realizzabile con estrema difficoltà.

Se i territori siriani sotto il controllo dell’Isis sono facilmente identificabili, quelli dove opera an Nusra sono difficili da definire. Kerry ha aderito alla richiesta russa di bombardare congiuntamente anche i qaedisti. Come ciò possa avvenire non si sa. An Nusra è una organizzazione alleata con forze jihadiste «riconosciute» dagli Usa. I suoi uomini combattono accanto a miliziani considerati da Washington non «terroristi» ma «ribelli» anti Assad.

Colpire an Nusra vorrebbe dire colpire tutti gli altri. E in ogni caso questa situazione conferma che la definizione di «ribelli moderati» è fuorviante perché di moderato nell’opposizione armata siriana c’è ben poco. Figure effettivamente laiche come la signora Bassma Kodmani che ieri, intervistata dalla Bbc, ha comunicato a nome del coordinamento Hnc il via libera al cessate il fuoco, sul terreno non contano proprio nulla e sono sconosciute a gran parte dei siriani.

Il solo clan Alloush, che regna nel gruppo salafita Jaysh al Islam (opera in vaste aree a Est di Damasco), ha più consenso tra i siriani di tutti i membri del Hnc. L’opposizione «moderata» ora spera con il cessate il fuoco di tornare a far sentire la sua voce ma la sua autorità è minima. Gli Stati uniti lo sanno e per questo a Ginevra l’altra sera non hanno insistito affinchè Mosca accettasse nero su bianco l’uscita di scena, più o meno immediata, di Bashar Assad e acconsentito invece a rinviare la questione ad una fase successiva.

Per il momento però continuano a parlare le armi. L’imminenza del cessate il fuoco ieri ha intensificato i combattimenti, non solo ad Aleppo. Tutti cercano di raggiungere posizioni migliori prima che le armi smettano di sparare.

Fonte: Nena News

12 settembre 2016

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