Israele: a rischio le manifestazioni della società civile


Michela Perathoner


Una società civile decisamente attiva, quella israeliana, le cui azioni però non sono sempre gradite dal Governo in carica e che, in futuro, potrebbero essere a rischio.


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Israele: a rischio le manifestazioni della società civile

Centinaia di ong, decine di associazioni a tutela dei diritti umani, migliaia di attivisti in tutto il Paese che regolarmente organizzano proteste e manifestazioni sia in Israele che nei Territori Palestinesi contro le politiche del proprio Governo e per sensibilizzare i concittadini. Bil’in, Nil’in, al-Ma’sara, Beit Jala, al-Walajah, Eadi Rahhal, Sheick Jarrah, Silwan: sono solo alcune delle località dove ogni settimana israeliani e palestinesi si radunano per manifestare il proprio dissenso.

Una società civile decisamente attiva, quella israeliana, le cui azioni però non sono sempre gradite dal Governo in carica e che, in futuro, potrebbero essere a rischio. “Il Parlamento dovrebbe rigettare la proposta di legge che indebolirebbe la vibrante società civile del Paese” – è stato il commento ufficiale di Human Rights Watch in relazione agli emendamenti legislativi recentemente proposti. Le modifiche proposte penalizzerebbero, secondo quanto riportato dalla nota associazione internazionale, i gruppi di attivisti per i diritti umani limitando la loro possibilità di presentare documenti ed elaborati critici e le loro attività di difesa e sensibilizzazione.

Sempre secondo Human Rights Watch, l’atmosfera nei confronti di ong e difensori dei diritti umani in Israele sarebbe costantemente peggiorata negli ultimi periodi, e il Governo considererebbe le associazioni in questione, numerose in tutto il Paese, un vero e proprio problema. Le quattro modifiche proposte limiterebbero, di fatto, gravemente il diritto degli israeliani di critica nei confronti delle politiche e azioni del proprio Governo.

Come denunciato dall’associazione per la tutela dei diritti umani, uno prevede l’interdizione dei gruppi che forniscono informazioni utilizzabili da altri Stati contro i membri del Governo israeliano come accuse in relazione a violazioni di diritto internazionale. Il secondo emendamento, poi, penalizzerebbe organizzazioni e individui che esprimono supporto o partecipano ad azioni di boicottaggio contro Israele, il terzo imporrebbe giustificazioni immediate per gruppi che ottengono finanziamenti dall’estero, il quarto punirebbe chiunque assiste rifugiati illegali in Israele.

Che il Governo non gradisca manifestazioni e proteste contro l’occupazione ed in generale le politiche adottate nei confronti della popolazione palestinese residente a Gerusalemme Est e in Cisgiordania non è una novità. “La libertà di partecipare in manifestazioni e processioni è un diritto fondamentale in ogni regime democratico, in quanto garantisce ai cittadini la possibilità di protestare contro azioni, decisioni e politiche delle autorità e di proteggere i propri diritti” – dichaira l’associazione B’Tselem in un documento pubblicato il 15 luglio 2010.

Eppure, le reazioni delle autorità risulterebbero del tutto sproporzionate: “Le manifestazioni organizzate per protestare contro il muro di separazione, ad esempio, vengono spesso interrotte con l’uso di forza da parte dell’autorità, anche quando i manifestanti non sono violenti e non mettono in pericolo i soldati”. Secondo quanto denunciato dall’associazione, l’esercito utilizzerebbe spesso gas lacrimogeni e proiettili di gomma, mettendo a rischio le vite dei manifestanti.

Tra i metodi utilizzati per scoraggiare i partecipanti ci sarebbero, poi, anche gli arresti e le detenzioni. “Le misure sono rivolte soprattutto ai palestinesi, ma anche molti attivisti israeliani e stranieri sono stati arrestati in passato”, denunciano i portavoce di B’Tselem. L’ordine militare 101, secondo il quale ogni manifestazione con più di dieci persone che riguarda un argomento politico deve essere autorizzata dall’esercito israeliano, proibirebbe di fatto le proteste nei Territori occupati violando la libertà di espressione e manifestazione.

“A Sheick Jarrah negli ultimi otto mesi sono stati arrestati 150 attivisti israeliani di sinistra – io stesso sono stato arrestato due volte – con la motivazione che le nostre manifestazioni sono illegali” – spiega Daniel Ducharevitch, attivista israeliano che ogni venerdì partecipa alla protesta nel quartiere situato a Gerusalemme Est, denunciando la differenza di reazione nei confronti di cittadini israeliani e palestinesi. “Gli israeliani vengono portati davanti al giudice a 24 ore dall’arresto, mentre i palestinesi possono essere detenuti dai 7 ai 14 giorni: molti attivisti palestinesi vengono addirittura detenuti per sei mesi senza accuse”.

“Israele rischia di mettersi sullo stesso piano di molti Governi della regione, che cercano di mettere a tacere le critiche invece di tutelare la libertà di espressione. Israele è in grado di difendersi da accuse ingiuste, ma il danno che leggi di questo tipo possono causare alla sua stessa democrazia potrebbe essere irreparabile” – ha concluso Sarah Leah Whitson, direttrice per il Medio Oriente di Human Rights Watch. Una nota che Israele non può permettersi di lasciare cadere nel vuoto.

Fonte: unimondo.org
7 Agosto2010

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