Il limite di Wikileaks
Emanuele Giordana - Lettera22
I documenti resi pubblici dicono cose in gran parte già conosciute e l’unica vera nuova notizia è che è stato tenuto un minuzioso conteggio del numero delle vittime civili, ovvero degli “effetti collaterali” della guerra…
Al Pentagono e alla Casa Bianca sapevano che era questione di giorni. E probabilmente presumevano la portata del colpo che Wikileaks si stava apprestando ad infliggere sia agli americani, sia ai loro alleati della Nato. In realtà i documenti resi pubblici dicono cose in gran parte già conosciute e l'unica vera nuova notizia è che è stato tenuto un minuzioso conteggio del numero delle vittime civili, ovvero degli “effetti collaterali” della guerra, che nessuno aveva intenzione e desiderio di rendere noti ad opinioni pubbliche stanche e disilluse sulla guerra in Afghanistan. Notizie che coinvolgono un po' tutti. Americani e francesi, polacchi e tedeschi in un turbinio di errori, in parte attribuibili al nervosismo degli uomini impegnati sul terreno, in parte alla catena di comando, che rivelano il lato più oscuro del conflitto e l'elemento più sensibile per gli afgani: la morte di amici o parenti imputabile agli eserciti stranieri impiegati nel paese di Hamid Karzai.
Le rivelazioni arrivano inoltre proprio nel giorno in cui la Nato ammette di non aver investigato a sufficienza quello che un giornalista della Bbc avrebbe scoperto nel distretto di Sangin, ossia la morte, a causa di un raid aereo alleato, di 52 persone. Notizia, in un certo senso, assai più lacerante di quelle contenute nei 92mila file rivelati da Wikileaks a tre importanti testate giornalistiche. E notizia che sembra confermare la ripresa del pugno di ferro rappresentato, nel teatro afgano, dall'arrivo del generale David Petraeus, cui spetta il compito di ribaltare le sorti del conflitto e di ridisegnare l'impegno militare per cercare di trasformare una sconfitta se non altro in una onorevole exit strategy.
Le notizie contenute nei file di Wikileaks complicano il quadro fino a un certo punto. E per un motivo assai semplice. Il quadro afgano è già fin troppo confuso e, almeno al momento, non si intravede un piano condiviso che possa renderlo più chiaro. Non c'è, è sotto gli occhi di tutti, una gran sintonia tra Kabul e Washington e ce n'è pochissima tra Hamid Karzai e il generale Petraeus. La conferenza di Kabul appena conclusasi, è stata soltanto – questo l'adamantino commento di un funzionario in servizio nella capitale afgana – non molto di più di una “photo opportunity”, locuzione con cui, in gergo, si definiscono le immagini celebrative dei grandi eventi, corredate di sorrisi e strette di mano. La riconciliazione nazionale resta una formula vaga e persino la data del 2014, per alcuni segnale di una definiva uscita di scena della Nato, per altri accordo per spostare più in là quella del luglio 2011 (indicata da Omaba come l'inizio del ritiro americano), non è che una confusa indicazione di calendario. Anche la scommessa economica contenuta nel documento finale a molti appare una pura formula illusionista per fingere che la “transizione” avverrà veramente e rapidamente.
Su questa oscura nube che circonda il futuro della guerra afgana e che assomiglia alla nuvola di polvere e smog che incombe in questi giorni di solleone sulla capitale afgana, Wikileaks aggiunge assai poco, se non maggiori dettagli su quanto già si sapeva. Non sarà Wikileaks a cambiare il corso della guerra né sarà Wikileaks a garantire uno spiraglio verso la pace in Afghanistan. Wikileaks aggiunge solo un particolare. Ci dice che alti comandi militari e politici sono informati dettagliatamente dei fatti fin nel più piccolo particolare. Senza che questo li abbia finora aiutati a districarsi dal polverone.
Fonte: Lettera22
26 luglio 2010