Migranti, i volti della diaspora africana in Italia
AGI Mondo ONG
Una comunità eterogenea e dinamica che si sta strutturando nei settori dell’economia, della cultura e della politica del nostro Paese. E che spesso si scontra con lo scoglio di un’integrazione difficile se non impossibile.
Gli immigrati in Italia sono il 7 per cento della popolazione: 4,3 milioni su 60,2. La diaspora africana conta per il 20 per cento con poco più di 870mila unità, di cui 600mila dal Maghreb. Dell'Africa subsahariana le comunità più numerose sono la senegalese (67mila) e la nigeriana (44mila). Ma non solo numeri. Sono le tante Afriche: a tutti gli effetti rappresentanze in Italia di almeno 26 dei 53 Stati indipendenti, oltre al Territorio del Sahara occidentale. Per la mentalità europea, tormentata dalla necessità di ricondurre tutto all'unità, è come leggere un libro di storia, di cultura, di costume attraverso la lente di un caleidoscopio. Il risultato è un dramma che si riflette nella cronaca quotidiana di un processo di integrazione talmente ricco e dinamico, che coglie tutti impreparati. Indipendentemente dalla buona fede. Eppure questa comunità così eterogenea si sta strutturando nei settori dell'economia, della cultura e della politica del nostro Paese.
Imprenditoria etnica
Secondo l'Organizazzione internazionale delle Migrazioni (Oim), gli immigrati titolari d'impresa sono 165.114 e ogni anno aumentano. Edith Elise Jaomazava, nominata 'Imprenditore immigrato dell'Anno' dalla MoneyGram, la societa' di trasferimenti internazionali di denaro che ogni anno premia l'eccellenza dell'imprenditoria etnica. Di origine malgascia, Jaomazava, 40 anni, gestisce da sei anni 'SA.VA', un'azienda di spezie a Moncalieri, in provincia di Torino. L'impresa è in piena crescita: nel 2009 le vendite sono aumentate del 62,8 per cento. Oltre a sfidare la crisi in Italia Jaomazava, sposata con un italiano e madre di quattro figli, si fa promotrice dello sviluppo in Madagascar: la vaniglia e la cannella coltivate nel nord di quel Paese danno lavoro a 300 persone. "Le difficoltà sono state molte. Come fare a raccontarle?", scrive sul suo sito online, "la lingua e le leggi, la diffidenza dei clienti che si fermano al colore della pelle e non riescono a vedere la serieta' del lavoro. E poi la famiglia, che non si può certo trascurare". Edith Elise Jaomazava guarda lontano. Nel 2011 prevede di aprire una nuova sede in Madagascar per migliorare la logistica della filiera con l'Italia.
L'eritreo Hannea Gemal Ali è il re dell''halal'. Arrivato in Italia nel 2002, anche lui e' stato premiato dalla MoneyGram come 'Giovane imprenditore 2010'. E' titolare della 'Zula Italy Food', azienda che produce e commercializza generi alimentari 'halal', ossia cibi che rispettano i dettami della religione musulmana. Nel 2009 le vendite non solo non hanno risentito della crisi ma sono aumentate del 30%. L'azienda, che conta appena su tre dipendenti, lavora principalmente con l'Europa.
Francis Sietchiping, gastroenterologo camerunese trasferitosi a Milano, nel 2007 decide con alcuni amici di fondare una banca etica per gli africani, la Unicontinental Bank. E' la prima in Italia della diaspora africana. "L'idea", racconta Sietchiping, "nasce
dalla nostra volontà, da noi africani d'Italia. Abbiamo voluto creare uno strumento di microfinanza e per farlo dovevamo fondare una banca ad hoc. L'intuizione iniziale era facilitare i trasferimenti di valuta tra l'Italia e l'Africa, oggi costoso e anche rischioso". Sietchiping, calcolatrice alla mano, ha fatto un po' di conti:ogni anno gli africani della diaspora nel mondo spediscono a casa circa 48 miliardi di dollari. Una somma importante su cui prendono le provvigioni società come la Western Union o la MoneyGram. Il progetto di Sietchiping e' ancora in fase di 'start up'. "Stiamo selezionando 5.000 africani pronti ad acquistare azioni per un minimo di 600 euro. Speriamo di chiudere le prenotazioni entro giugno e di aprire la banca per la fine dell'anno", ha spiegato Ibrahima Camara, membro del comitato di garanzia. "Come diceva Thomas Sankara (ex presidente del Burkina Faso, ndr), dobbiamo produrre e consumare africano". Un progetto, dunque, di ispirazione panafricana: la banca etica sara' posseduta all'80 per cento da africani. I fondatori prevedono di aprire un'agenzia in Senegal e più sedi in Italia, con il placet della Banca d'Italia.
Diritti e doveri, la chiave dell'integrazione
"L'immigrato deve darsi da fare". Esordisce così la camerunese Marie-Paule Ngo Njeng, 45 anni, punto di riferimento per chiunque della diaspora voglia consigli. Assistente sociale, imprenditrice, e' diventata un'autorita' morale nelle comunità africane della provincia di Perugia. Lei si definisce una mediatrice tra le istituzioni italiane e i "fratelli e sorelle" africani. "Il mio obiettivo è aiutarli a trovare la loro strada nel loro nuovo Paese. Cerco di far capire loro che non devono aspettarsi niente dello Stato, perché nessuno li ha obbligati a venire in Italia. Mi sforzo di spiegare loro che devono assumersi le proprie responsabilità, che non ci sono soltanto diritti ma anche doveri". Per Marie-Paule Ngo Njeng il principio del 'politicamente corretto' non può diventare alibi dell'indolenza. Madre di due figli, lavora principalmente con i bambini nati in Italia e le donne immigrate. "I nostri figli sono persi tra due identita'", spiega Ngo Njeng, "I genitori vogliono che siano africani pure loro che non lo sono. Dall'altra parte c'e' l'Italia che non li riconosce ancora come completamente italiani". La sua voce e' ascoltata soprattutto dai giovani. Ha saputo utilizzare i loro stessi mezzi di comunicazione, come Facebook, per tenere i contatti:"Mi parlano dei loro dubbi, della loro confusione. E io gli spiego che questa è una ricchezza di cui approfittare e che forse diventeranno i futuri Obama d'Italia". Alle loro madri insegna come conquistare l'indipendenza materiale, condizione essenziale -dice- di una migliore integrazione. Le orienta verso centri di formazione dove studiare l'italiano e prendere una qualifica. "E' finito il tempo in cui la donna si definiva in quanto moglie di… Ora deve dire: 'io sono!'". Ngo Njeng c'è riuscita. Da tredici anni a Perugia gestisce un'impresa di pulizie e di servizi agli anziani e fa lavorare una quindicina di persone. Vorrebbe vedere gli africani più impegnati nella vita politica: "Sono assenti dal dibattuto sull'immigrazione. E' un peccato. Per farsi ascoltare bisogna impegnarsi politicamente e socialmente". Sdrammatizza l'idea di un'Italia razzista: "Se un uomo bianco bussa alla porta della mia vecchia zia rimasta al villaggio in Camerun, non credo che lei lo accolga a braccia aperte. Tutti in una misura o nell'altra sono sospettosi con il forestiero". Marie-Paule Ngo Njeng non si soprende per il suo successo in Italia: "Mio padre diceva: una buona cosa ha valore dappertutto".
Fonte: OngAgiMondo
editoriale luglio 2010