Roma, botte ai terremotati: premier blindato
L'Unità
La rabbia degli aquilani a Roma, manganellate a Cialente. Alla fine ce l’hanno fatta. Hanno raggiunto piazza di Montecitorio, ma solo dopo uno scontro con la polizia. Tre feriti e tante botte, ma i 5mila sono riusciti a raggiungere la piazza di fronte a palazzo Chigi.
Un'interminabile giornata in marcia nella Capitale alternando momenti di tensione e disperazione, davanti ai luoghi delle Istituzioni. A più di un anno dal terremoto che ha cambiato per sempre le loro vite, gli aquilani hanno paralizzato Roma manifestando tra le lacrime tutta la propria esasperazione contro «le sedi del potere», ritenute responsabili della loro difficile condizione. «Siamo qui con le nostre famiglie, non siamo criminali. Non ci aspettavamo una tensione tale», hanno detto gli aquilani, amareggiati per i tafferugli avvenuti con le forze dell'Ordine, quando tra piazza Venezia e via del Corso è stato forzato un cordone per raggiungere in corteo, senza essere autorizzati, piazza Montecitorio. Tra di loro anche alcuni esponenti dei centri sociali romani e dell'Aquila. Quasi tutti gli aquilani sono arrivati nella Capitale con intenzioni pacifiche. «Eravamo spaesati, seguivamo la testa del corteo e non sapevamo neppure dove andare – spiegano diversi manifestanti – ci sono stati distribuiti alcuni itinerari della mobilitazione dove venivano annunciati cortei e presidi davanti alla Camera, a Montecitorio e a piazza Navona. Non sapevamo neppure di non essere autorizzati per quei cortei».
L'Aquila-Roma in poche ore. Poi tutti in strada. E nella Capitale, dopo pochi minuti, il caos. «Ho visto un ragazzo che scappava dietro e mi sono trovata in mezzo agli spintoni della gente che arretrava. Ho pensato di venire travolta. Ho visto anche una colonna macchiata di sangue», ha raccontato una manifestante ricordando il parapiglia che si susseguiva sotto il sole, tra migliaia di persone, urla e slogan. Un clima di tensione che ha prodotto solo incomprensione e qualche ferito. Uno di loro – Vincenzo Benedetti, pizzaiolo dell'Aquila originario di Bari – ha 'macchiatò il muro esterno di una banca in via del Corso, lasciando le impronte delle sue mani insanguinate dopo essere stato colpito alla testa. «Al secondo cordone delle forze dell'ordine in via del Corso – ha spiegato Vincenzo con la testa fasciata e la maglietta sporca di sangue – durante alcuni momenti di tensione, sono stato colpito alla testa da quattro manganellate mentre ero di spalle. La mia faccia è diventata in pochi secondi una maschera di sangue. Un medico di Paganica mi ha portato nella vicina banca e mi ha soccorso, ma io ho voluto prima lasciare le impronte del mio sangue su un muro per testimoniare il sangue degli aquilani in questa manifestazione». I terremotati ne hanno avute per tutti. Dal leader dell'opposizione Pierluigi Bersani al premier.
«Berlusconi hai sfruttato il nostro dolore, vieni qui se hai il coraggio», hanno urlato i manifestanti, in via del Plebiscito a qualche metro da Palazzo Grazioli. «Ci sono famiglie che hanno perso il lavoro, sono sistemate negli alberghi e aspettano ancora di avere una casa, molti sono vecchi, stanno morendo – ha spiegato Roberta, una terremotata di 46 anni con tre figli, durante il presidio a piazza Navona – Il consumo di psicofarmaci all'Aquila è aumentato, così come i suicidi. La gente rischia di perdere la speranza». Ma collera e sconforto per gli aquilani sono due facce dello stesso dolore. La marcia di oggi si è conclusa davanti alla sede della Protezione civile, con gli sputi sul simbolo. Dietro i megafoni, nel caos, si nascondevano i volti rigati dalle lacrime e l'assordante tappeto sonoro di uno slogan amaro: «3 e 32, io non ridevo».
«L'Aquila è un malato grave, voi staccate l'ossigeno». È riassunta su uno striscione sfilato lungo le vie del centro di Roma la rabbia del 'Popolo delle carriolè: è necessario «arrivare ai palazzi in cui si decide il futuro», è il mantra pronunciato all'arrivo in Piazza Venezia. L'intenzione dei cinquemila aquilani era fermarsi prima a Montecitorio, poi in piazza Navona, a due passi dal Senato. Sono tornati indietro, dopo aver fronteggiato un gran schieramento di forze dell'ordine, con due feriti e tanta frustrazione per aver ottenuto «botte e solo un contentino», come hanno commentato alcuni. In serata il governo ha comunicato l'accordo sulla dilazione delle tasse: «il recupero dei tributi e dei contributi non versati per effetto della sospensione disposta a causa del terremoto che ha colpito la provincia dell'Aquila nell'aprile 2009, sarà effettuato in 120 rate mensili a decorrere dal gennaio 2011». Mentre il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, vuole di più: si è detto pronto a una «tassa di scopo» contestuale alla manovra sui conti pubblici. Gli aquilani, infatti, spostano l'asticella più in alto, non basta il rinvio per il pagamento delle tasse, «quello che serve all'Aquila sono case, mezzi pubblici, lavoro», scandiscono.
Per questo è montata l'irritazione della folla quando nella tarda mattinata si è diffusa nel corteo la voce che i mezzi d'informazione stavano dando più spazio ai tafferugli che non alle loro richieste. I momenti di tensione sono stati ripetuti. Per questo il ministro Maroni ha garantito che accerterà «perchè questa manifestazione non si è svolta in maniera pacifica». E la questura di Roma spiega i disordini con la presenza di «appartenenti all'area antagonista e di rappresentanti di centri sociali di Roma e dell'Aquila», che si sono infiltrati nel corteo e «incitavano a forzare il blocco per strumentalizzare possibili disordini». Il corteo, peraltro, non era autorizzato, o meglio – come ha spiegato poi l'ex presidente della Provincia, Stefania Pezzopane – era stata chiesta un'autorizzazione per la spostamento di una delegazione di 150 persone; è stato per questo fermato e deviato numerose volte: blocchi a ripetizione, sin da subito, con due mezzi blindati dei carabinieri che hanno impedito di raggiungere – come era nelle intenzioni iniziali – la Camera, per la concomitanza con un'altra manifestazione.
Quando una cinquantina di persone ha cercato di forzare il blocco, il sindaco della città abruzzese, Massimo Cialente, è rimasto coinvolto nel parapiglia, ricevendo un pestone (tanto che più tardi ha lamentato dolore alla caviglia), anche il deputato pd Giovanni Lolli ha denunciato di essere stato colpito. «Questo è il governo dell'odio e del manganello», ha commentato Antonio Di Pietro, leader dell'Idv. I manifestanti hanno premuto anche contro un blocco successivo, posto appena pochi metri dopo: due giovani sono rimasti feriti alla testa – dicono – a causa delle manganellate. Uno di loro, Vincenzo Benedetti – noto alla polizia per aver preso parte a disordini in occasione di altre manifestazioni di piazza – ha sfogato la collera lasciando impronte con il suo sangue sui muri di una banca in via del Corso: «Guardate il sangue di un aquilano – ha detto – La mia unica colpa è essere un terremotato». Si è poi temuta la carica quando, dopo aver aggirato i blindati delle fiamme gialle posti all'ingresso di via del Plebiscito, i manifestanti sono stati nuovamente fermati a due passi dalla residenza del premier, Silvio Berlusconi (duramente apostrofato dalla folla), dove era in corso un vertice del Pdl. Cialente ha dovuto mediare, consigliando ai manifestanti, accerchiati dai blindati dei carabinieri e guardia di finanza, di indietreggiare. Il corteo è così defluito lungo via delle Botteghe Oscure, per arrivare in Piazza Navona. La 'Marcià si è conclusa tra le lacrime dei manifestanti solo in serata. Davanti al Dipartimento della Protezione Civile, dopo le contestazioni al sottosegretario Guido Bertolaso, c'è stato un lungo applauso per le vittime del terremoto del 6 aprile dello scorso anno. Ai megafoni i manifestanti hanno ricordato la tragedia vissuta e la loro protesta contro «una ricostruzione mai avvenuta».
Fonte: l'Unità
07 luglio 2010