Legalità, una lotta globale


La redazione della Marcia


Contrasto ai narcos e affermazione dei diritti, tra Messico e Italia. Il seminario “Facciamo pace con la legalità e la giustizia”.


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Legalità, una lotta globale

Conosciamo Cynthia da qualche mese, ormai. Alta, bruna, ci era stata presentata, in quanto “periodista” del quotidiano messicano“El Universal” perché aveva scritto un libro sui rapporti, emersi nel 2008, tra il cartello del Golfo, influente sodalizio di narcos, e le ‘ndrine della jonica reggina. Una storia enorme, fatta di tonnellate di cocaina, narcodollari e la preoccupante consapevolezza di come parlare di mafie e illegalità sia, ormai, sinonimo di parlare di un agire globale. Oggi, a margine dell’incontro “Facciamo pace con la legalità”, abbiamo avuto modo di parlarle, colpiti da quanto emerso nel dibattito, soprattutto dal fatto che lei, ormai da tempo in Italia e sposata a un palermitano, ha potuto «rivedere con occhi nuovi quanto prima le scorreva davanti agli occhi senza che ne avesse consapevolezza». Cosa pensa della legalità una messicana? Cosa ha compreso frequentando in Italia, con assiduità, quelle realtà della società civile che combattono culturalmente il crimine?

«Posso parlare in spagnolo?». Lo dice mentre gira col cucchiaio lo zucchero nel caffelatte, prima di diventare rossa in viso mentre inizia a raccontare.  «Nascere in un posto e crescerci implica la condivisone di un determinato modo di agire- dice Cynthia- che diventa la normalità quotidiana».Ora che ha vissuto in Italia la giornalista messicana parla del suo cambiamento, del sentirsi «un po’ diversa, ora comprendo quel che succede». E nell’Italia della corruzione aver saputo insegnare la passione per la legalità e i diritti, non è poco e può aiutar a far capire che quel «Chi fa le cose giuste fa la strada degli stupidi» che in Messico è tanto in voga, rappresenta un retaggio culturale inaccettabile. Lo stesso che quotidianamente lascia sulle strade del Messico centinaia di vittime, alimenta una corruzione sistematica e compie stragi orribili, come quella delle donne uccise a Ciudad Juarez, talmente efferate da troncare il fiato in gola.

Messico e Italia, narcos e cosche, così diverse e così uguali. Almeno nel beatificare la figura dei boss, nell’amplificare l’aura di una malavita che di grandeur ne vede ben poca, sguazzando invece nella più bieca ignoranza, depredando diritti e vite. Una operazione culturale, come sottolinea Cynthia, per debellare un mito e «mettere a nudo la differenza tra il criminale da fiction e la realtà sanguinaria, assassina». «Da voi ho imparato la via giusta di fare le cose, senza compromessi, nel modo giusto in cui vanno fatte». La stessa strada che permette di avere, esigere come diritto, ciò che  altri danno come favore. In Messico, o in Italia, si chiamino narcos, o ‘ndrine.

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 Mafie al Nord. Ipocrisia e lotta democratica per squarciare il velo dell’ipocrisia

Una sventagliata di proiettili contro due automobili. Poche settimane fa, Cologno Monzese, periferia milanese. Parlare di legalità e viverla significa anche avere il coraggio di denunciare ciò che molti non vogliono vedere. O che vogliono nascondere. Questo vale soprattutto per un fenomeno, quello mafioso, la cui presenza nel Nord Italia, gli amministratori negano in continuazione. Quando Giovanni Coccirro prende la parola e scandisce le prime frasi, con forte accenno meneghino, non ci si aspetta di trovarsi davanti a chi, da politico, ha il coraggio di raccontarle, le cose. E la sala del teatro del Pavone, ascolta interessata, incassando finalmente da un amministratore un invito ad aprire gli occhi piuttosto che un monito a non trattare argomenti scomodi.

«Da assistente ai servizi sociali ho, ogni giorno di più, a che fare – racconta Coccirro – con persone che sono al limite della sopravvivenza: un impoverimento delle famiglie sopraffatte dalla crisi». Meandri in cui le mafie possono inserirsi, come concessionarie finanziarie, grazie alla grande disponibilità di liquidi. Alla chiusura di parecchie attività commerciali, fa da contraltare il sospetto aumento degli sportelli bancari, delle sale da gioco, spesso attività di pura copertura per riciclare il denaro. All’uscita dal seminario Coccirro si sfoga:  «Non ci stiamo rendendo conto che le ramificazioni al Nord ormai sono terribili». Vero, verissimo. Oppure lo si comprende ma si agisce in maniera schizofrenica. Sono passati solo pochi dal varo di una commissione comunale Antimafia, creata e prontamente smantellata nel giro di pochi giorni: l’ammissione di un problema e la completa retromarcia nel giro di un batter di ciglia.

Rimane nella politica, soprattutto al Nord, una forte resistenza a farsi carico di un problema considerato “altro” anche solo geograficamente. «Impensabile fare un consiglio comunale e parlare del radicamento ‘ndranghetisco- ci dice Coccirro- sarebbe visto come un discredito per la nostra cittadina». Eppure, volenti o nolenti, da decenni nel Settentrione le mafie ci sono, ‘ndrangheta in primis, ammorbando l’economia, la vita sociale e negando i diritti delle persone. Una mafia meno visibile, ma il cui insediamento è talmente invasivo da non essere differentemente pericoloso. Anche in questo caso parlare, denunciare, battersi per i diritti, è più che una viscerale esigenza, è un dovere morale. In barba ai negazionismi di sorta, utili solamente a occultare il problema sotto un velo di ipocrisia.

Perugia, Teatro del Pavone

15 maggio 2010
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