Libertà di stampa: peggiora nel mondo, Italia resta paese “parzialmente libero”
Giorgio Beretta - unimondo.org
Per il secondo anno consecutivo l’Italia rientra nel gruppo dei paesi “semi-liberi”: il rapporto 2010 di Freedom House sulla libertà di stampa.
Per il secondo anno consecutivo l’Italia permane in una situazione di “libertà parziale” a causa della concentrazione proprietaria e delle interferenze dello stato: lo riporta “Freedom of the press” (in .pdf), il rapporto annuale di Freedom House sulla libertà di stampa nel mondo presentato a Washington in occasione della “Giornata mondiale della libertà di stampa” che si è celebrata ieri. Secondo il rapporto, l’Italia resta la nazione con il più alto tasso di concentrazione dei mezzi di comunicazione tra quelle dell’Europa occidentale; ma a pesare sono soprattutto la “censura di ogni contenuto critico da parte della televisione di stato” e “interferenze politiche” che “si intrecciano alla possibilità di promuovere leggi a detrimento della diffusione di notizie” – segnala il rapporto.
Nello specifico l’Italia permane al 72mo posto a parità di punteggio con il Benin, Hong Kong e India. Freedom House evidenzia che “in Italia, un paese già classificato l’anno scorso come ‘partly free’, le condizioni sono peggiorate quando la stampa si è scontrata con la sfera personale del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, dando vita ad azioni legali contro le principali testate italiane e straniere e, soprattutto, introducendo la censura dei contenuti critici da parte dell’emittente pubblica”. Un ulteriore causa secondo l’organizzazione americana sarebbero “le limitazioni imposte dalla legislazione, per l’aumento delle intimidazioni nei confronti dei giornalisti da parte del crimine organizzato e di gruppi dell’estrema destra, e a causa di una preoccupante concentrazione della proprietà dei media”.
Nonostante la libertà di stampa sia in declino nel mondo per l’ottavo anno consecutivo, alcuni passi avanti sono stati compiuti soprattutto nell’Asia meridionale. Da “non liberi” il Bangladesh e il Bhutan sono divenuti “parzialmente liberi”. Tendenza positiva anche per Papua Nuova Guinea, Timor Est, Indonesia e soprattutto India, salita al 70° posto in una classifica che comprende 192 paesi. In buona posizione ci sono anche diversi paesi della regione dei Caraibi, in particolare Santa Lucia e Giamaica, rispettivamente al 14° e al 16° posto.
In America Latina i migliori risultano Uruguay (52°), Cile e Guyana (67°), mentre sembrano peggiorare soprattutto Messico e Honduras, paese quest’ultimo teatro l’anno scorso di un colpo di stato. Articolato appare invece il quadro dell’Africa sub-sahariana, negativo nel suo insieme ma con eccezioni significative. A guidare la classifica regionale è il Mali (52°), seguito da Benin e Botswana. Freedom House evidenzia come, a causa dell’arretramento di Sudafrica (72°) e Namibia (76°), per la prima volta dal 1990 nel cono sud del continente non ci siano paesi “liberi”. Novità positive arrivano però da zone difficili, in primo luogo Zimbabwe, Kenya, Sudan e Mauritania, dove i media hanno meno restrizioni che in passato. In altre zone geografiche, sostengono i ricercatori americani, sono da segnalare il ritardo della Cina (181°) i progressi di Israele, tornato “libero” dopo aver revocato le gravi restrizioni introdotte durante la guerra nella Striscia di Gaza del 2008-2009.
Nella classifica redatta dalla Freedom House ai primi posti si trovano il terzetto scandinavo Finlandia, Norvegia e Svezia a cui si affianca l’Islanda dove proprio una puntuale campagna di stampa ha permesso ai cittadini di quel paese di scoprire per tempo quanto fosse seria la situazione dei loro conti pubblici e certe operazioni non proprio limpidissime condotte da alcuni istituti bancari islandesi. Venendo ai grandi paesi industrializzati del continente, meglio dell’Italia fanno praticamente tutti gli altri. La Germania è 15ma, l’Inghilterra 17ma, la Francia 21ma e la Spagna 22ma. L‘Italia in Europa è 24ma, dietro persino a Cipro, Malta e la Grecia.
L’associazione Reporters sans Frontieres (RSF) ha voluto invece puntare il dito contro 40 predatori della libertà di stampa: tra i nemici dei giornalisti in giro per il mondo ci sono politici,funzionari statali,esponenti religiosi, milizie, organizzazioni criminali. Molti di loro erano già nella lista dello scorso anno,come in America Latina dove- scrive RSF- sono 4 le principali fonti di minaccia per chi fa informazione:i trafficanti di droga, la dittatura cubana,le FARC e i gruppi paramilitari. E se in Africa si notano pochi cambiamenti,i rapporti di forza sono peggiorati in medio Oriente e in Asia. Il Mullah Omar leader dei talebani si è guadagnato un posto nell’elenco per i 40 attacchi lanciati a giornalisti e mass media afghani.
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Altro esordiente è il presidente ceceno Ramzan Kadyrov che RSF indica come non estraneo agli omicidi avvenuti sotto il suo regime,tra i quali quelli di Anna Politovskaya e Natalia Estemirova, due voci critiche della questione cecena. Migliorano le cose in Iraq dove i giornalisti rischiano la vita, ma gli attacchi nei loro confronti stanno diminuendo. Non vanno scordati i 160 giornalisti in giro per i continenti che sono stati costretti a scegliere la via dell’esilio per sfuggire alla prigione o alla morte.
Circa 70 giornalisti sono attualmente in prigione nella Repubblica islamica dell’Iran – riporta Amnesty International che denuncia come dalle contestate elezioni presidenziali del giugno 2009, le autorità hanno intensificato la già esistente repressione sugli organi di stampa tradizionali e sui sempre più numerosi cittadini che ricorrono alle nuove tecnologie per denunciare le violazioni dei diritti umani.
Secondo le organizzazioni che si occupano di libertà di stampa, l’Iran è la più grande prigione di giornalisti al mondo.
Fonte: Unimondo
04 maggio 2010