Sbilanciamoci: le cifre su precarietà, disoccupazione, disuguaglianza e povertà.
Giorgio Beretta - unimondo.org
La campagna Sbilanciamoci! pubblica le cifre dell’indicatore sintetico, stilando un quadro delle condizioni lavorative e di redistribuzione del reddito delle regioni italiane.
Per definire e monitorare la qualità del contesto economico e sociale, la campagna Sbilanciamoci! ha costruito un indicatore sintetico che restituisce un quadro sulle condizioni lavorative e di redistribuzione del reddito delle regioni italiane. Questo indicatore fa parte del set utilizzato nella costruzione del QUARS, e considera quattro dimensioni che rivestono un ruolo particolarmente importante per la qualità dello sviluppo in un territorio: precarietà del lavoro, disoccupazione, povertà e disuguaglianza. "Sono quattro variabili strettamente connesse al contesto economico regionale e che descrivono efficacemente situazioni di esclusione sociale" – sottolineano i ricercatori di Sbilanciamoci!
L’indice di precarietà di Sbilanciamoci! è costruito in maniera molto semplice: parte dalla somma di tutti i contratti di collaborazione a progetto e coordinata e continuativa, di tutti gli interinali e di tutte le unità di lavoro in nero (non si può parlare di lavoratori perché ogni lavoratore può avere più contratti co.pro., oppure più lavori in nero), somma che viene poi rapportata alla grandezza della forza lavoro delle regione, ovvero del numero di persone che partecipano al mercato del lavoro. Tra le diverse componenti dell’indice di precarietà quella che pesa di più sul risultato finale è sempre il lavoro irregolare. (vedi file completo a fondo pagina)
Analizzando la classifica delle regioni meno precarie, il primo posto è occupato dal Trentino-Alto Adige. Seguono Valle d’Aosta, Toscana, Veneto ed Emilia-Romagna, che è anche la regione con il più basso livello di lavoro irregolare. In coda alla classifica relativa alla precarietà – e quindi che mostrano i più alti livelli di precarietà – si collocano le regioni del Mezzogiorno, con la Calabria come fanalino di coda a quota 31% di lavoro precario. Fra le regioni a più alto livello di precarietà spicca però il Lazio che insieme alla Lombardia è la regione in cui il numero di collaborazioni è più elevato.
Il dato sulla disoccupazione si riferisce al numero di persone in cerca di una occupazione rapportato al totale della forza lavoro. La situazione italiana è una situazione di forte dualismo: da un lato si trovano le regioni del Nord e del Centro Italia, che presentano tassi al di sotto della media. Parliamo di regioni come il Trentino-Alto Adige, la Valle d’Aosta, l’Emilia Romagna, il Veneto. Un gruppo di regioni che, nonostante l’aumento dei tassi dovuto alla crisi, si attesta ancora sotto il 5%. Segue un gruppo di regioni in cui si registra un tasso di disoccupazione che oscilla tra il 5% e l’8%, di cui fanno parte le altre regioni del Nord e del Centro, fatta eccezione il Lazio in cui il dato si attesta all’8,5%. Tutte le regioni dal Sud presentano, ad eccezione di Abruzzo e Molise, un tasso di disoccupazione stabilmente sopra al 10%: chiude la classifica la Sicilia, dove si registra un tasso del 13,3%.
L’indice di povertà rappresenta la quota di popolazione che vive in famiglie al di sotto della soglia di povertà relativa. La definizione di povertà prevede siano considerate povere le famiglie la cui spesa media mensile per consumi al di sotto della spesa media pro capite nel Paese. Questa misura si può definire di povertà assoluta, anche se è relativizzata a una soglia di reddito, perché questa soglia non è stabilita regione per regione ma a livello nazionale. Costruito così questo indicatore rispecchia la situazione di reddito delle famiglie: nelle regioni in cui il reddito medio delle famiglie è più alto è proporzionalmente meno probabile incontrare famiglie che possono godere di un reddito inferiore ad una soglia stabilita a livello nazionale. I dati mostrano l’esistenza di un evidente gap geografico tra Centro-Nord e Sud: in Emilia Romagna (la regione che fa meglio) vive al di sotto della soglia di povertà il 4,3% delle famiglie, mentre in Sicilia questa quota ammonta al 33%!
La disuguaglianza è invece riferita alla distribuzione dei redditi. L’indice di Gini, che si costruisce a partire dai dati di distribuzione del reddito tra le famiglie, varia da 0 a 1, aumentando al crescere della disuguaglianza e quindi della concentrazione del reddito totale in mano a poche famiglie. La situazione al 2007 mostra come sia la Campania la regione che conquista la maglia nera della disuguaglianza, seguita da Calabria e Sicilia. Al contrario le regioni più virtuose sono il Veneto, il Trentino-Alto Adige e l’Umbria.
Complessivamente il macro-indicatore "Economia e Uguaglianza" descrive una situazione ancora una volta abbastanza caratterizzata territorialmente: buoni i risultati delle regioni del Nord e Centro-Nord -sempre in confronto con quelli delle altre regioni- con il Trentino-Alto Adige nettamente in testa alla classifica seguito dal Veneto e dalla Toscana. Deludenti le performance delle regioni del Mezzogiorno e del Lazio, con in coda Sicilia, Campania e Basilicata.
"Mettere in atto politiche di inclusione rivolte ad incrementare l'equità e l'integrazione sociale significa – conlcude Sbilanciamoci! – innanzitutto agire su fattori come un lavoro dignitoso e un reddito minimo a tutte le persone, attraverso una più equa redistribuzione della ricchezza".
Fonte: Unimondo
3 maggio 2010