Iran: via le testate nucleari dall’Italia


Mario Platero


Nucleare, al via il vertice di New York. Ahmedinajead attacca gli alleati dell’America, Europei e Stati Uniti lasciano l’aula.


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Iran: via le testate nucleari dall'Italia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

«L'Iran non vuole costruire armi atomiche. Non esiste neppure un prova. Noi perseguiamo soltanto obiettivi civili». Parola del presidente Mahmoud Ahmedinejad, intervenuto ieri al Palazzo di Vetro dove si è aperta la conferenza per la revisione del trattato sulla non proliferazione nucleare. Un discorso «deludente», come lo ha definito Robert Gibbs, il portavoce di Obama. Ma che avrà una sua utilità: le posizioni del leader iraniano consentiranno al segretario di Stato Hillary Clinton di chiudere il cerchio delle sanzioni contro Teheran. «Chi viola le regole sul Tnp è destinato a pagare un caro prezzo» ha detto la Clinton. «Sono accuse stanche, false e furiose» quelle nei confronti degli Stati Uniti, ha aggiunto. E nel solco della trasparenza che chiedono ai partner, gli Usa hanno annunciato ieri, con una mossa senza precedenti, il numero delle loro testate nucleari: a fine settembre 2009, ha rivelato il Penatgono, ne avevano 5.113 nel loro arsenale.
Ieri c'è stata anche una novità nella posizione iraniana, Ahmedinajead ha attaccato gli alleati dell'America, Italia inclusa: «Gli arsenali nucleari americani debbono essere smantellati nelle basi militari degli Stati Uniti e dei loro alleati in altri paesi, compresa la Germania, l'Italia, il Giappone e l'Olanda. Noi siamo accusati di volere armi nucleari, ma Washington usa già la minaccia atomica contro altri paesi, compreso l'Iran» ha detto Ahmadinejad. L'Italia diventa dunque indirettamente minaccia nucleare per l'Iran. Ma Teheran è sempre più isolata. Persino il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon ha chiesto che vi siano «adeguate verifiche sul programma nucleare iraniano». E in segno di protesta per l'intransigenza iraniana, tutte le delegazioni occidentali, compresa quella italiana, hanno lasciato l'aula quando Ahmadinejad ha preso la parola.
Nel suo discorso, la Clinton ha cercato di portare avanti la linea della trasparenza proclamata da Barack Obama: ha offerto nuove statistiche sugli arsenali che finora gli Usa avevano mantenuto riservate, ha spiegato che vi sono tre tipi di arsenali, attivi, di scorta e stoccati. E anche se non vi sono state conferme ufficiali, funzionari al seguito del segretario di Stato hanno confermato che gli Usa utilizzano in media quattro chili di plutonio arricchito per la produzione di una bomba atomica.
Il vertice del Palazzo di Vetro a New York è il terzo appuntamento in meno di un mese, dopo il vertice di Praga e quello di Washington, con cui gli Usa cercano di aumentare il consenso attorno alla nuova linea di Obama in materia nucleare. Offrono maggiore trasparenza sui loro arsenali nucleari, a Washington hanno chiesto e ottenuto da 47 paesi di migliorare il controllo delle scorte di uranio e plutonio nel mondo e a Praga hanno comunque trovato un accordo con Mosca per ridurre le testate atomiche di 1.550 unità.
Durante questi lavori, che dureranno fino al 28 maggio, gli Stati Uniti si propongono di raggiungere due obiettivi specifici. Il primo è rafforzare il consenso all'interno del Consiglio di sicurezza per varare sanzioni contro l'Iran. Russia e Cina hanno dato una vaga disponibilità, ma ora è giunto il momento per Washington di chiudere la partita visto che la scadenza ultima di Obama per avere sanzioni è stata fissata «entro la primavera». Il secondo obiettivo è più nuovo ed è stato perseguito finora dietro le quinte: si cerca di minimizzare il rischio di una proliferazione nucleare in Medio Oriente se per caso l'Iran riuscisse davvero a costruire una bomba atomica. Sono già in corso trattative bilaterali con la maggioranza dei paesi arabi ai quali viene offerta la tecnologia per la produzione di energia atomica e il combustibile, in cambio di un impegno a non costruire centrifughe per arricchire l'uranio, il materiale chiave per trasformare un programma civile in un programma militare.
Secondo il New York Times, l'amministrazione Obama ha già firmato un accordo in questo senso con gli Emirati Arabi Uniti per la costruzione di un impianto nucleare sul Golfo Persico da 20 miliardi di dollari. Un tavolo negoziale è stato già aperto con Egitto, Giordania, Bahrain e Arabia Saudita. In Giordania è stata bandita una gara per la creazione di un reattore da 1.100 megawatt e l'Arabia Saudita punta a una "città atomica", che avrà il nome del re Abdullah bin Aziz Al Saud. In generale infatti i paesi produttori di petrolio preferiscono esportare il loro greggio e sostituire quanto più possibile il loro fabbisogno interno con centrali nucleari. Ma altri si muovono aggressivamente in questa direzione. La Turchia ad esempio ha in programma due impianti, uno sul Mar Nero e l'altro sul Mediterraneo, per i quali ha firmato accordi con la Russia e la Corea del Sud. Il progetto è imponente: le due centrali produrrebbero fino a 10mila megawatt, l'equivalente di dieci reattori.

LA REVISIONE DEL TRATTATO

Il Tnp e le superpotenze
Si è aperta ieri nella sede Onu di New York la conferenza di revisione del Trattato di non proliferazione nucleare che si tiene ogni cinque anni. Il Tnp, entrato in vigore nel 1970, riconosce cinque potenze nucleari: Usa, Urss (ora Russia), Gran Bretagna, Francia e Cina
Le potenze di fatto
Aderire al Tnp non è un obbligo. India e Pakistan hanno l'atomica e non hanno firmato il Trattato. La Corea del Nord nel 1985 aderisce al Tnp, nel 2003 si ritira dopo aver effettuato due test nucleari. Israele non ha mai firmato anche se non ha mai riconosciuto ufficialmente di possedere testate

Fonte: il Sole 24 ore

04 maggio 2010

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