Il ritorno e il racconto di Emergency
Lettera22
Oggi a Milano gli operatori umanitari di Emergency arrestati dieci giorni fa, che raccontano in video la loro versione della storia.
Arrivano stamane in Italia gli operatori umanitari di Emergency arrestati dici giorni fa e liberati domenica dalle autorità afgane. Si lasciano alle spalle un'ospedale chiuso a Lashkargah e un futuro incerto di cui darà conto l'organizzazione oggi in una conferenza stampa convocata a Milano, sede nazionale della Ong. Ma lasciano alle spalle soprattutto il lungo racconto della trappola ordita alle loro spalle e raccontato in esclusiva in un video apparso ieri sera sul sito di Peacerporter.
Quella mattina comincia male – spiega Marco Garatti – perché qil suo volo per Kabul risulta cancellato. Torna a casa e poi in ospedale. “All'una circa Matteo Pagani – dice – ha ricevuto una telefonata in cui si diceva che il personale internazionale doveva allontanarsi dall'ospedale e rifugiarsi a casa” perché un gruppo di terroristi, inseguiti dalla polizia, aveva intenzione di entrare nel nosocomio. “Cinque minuti dopo – continua – la stessa persona ci informa che la situazione è tranquilla e che avremmo potuto tornare in ospedale. Un minuto dopo, un medico dell'ospedale ci chiama dicendo che la polizia, le forze speciali, l'esercito stavano entrando armati. Ci siamo subito mossi”. Ma appena si muovono vengono arrestati “…c'erano uomini armati ovunque, e non si riusciva a capire la motivazione arresto”. Li conducono all'Investigation Department e da lì all'ospedale dove restano un'altra mezz'ora seduti davanti al pronto soccorso, mentre militari e forze speciali afghane, armati, girano per la struttura. “Poi io e Marco siamo stati portati via, mentre Pagani è rimasto in ospedale. Nei nostri centri non sono mai entrate persone con armi, vederlo è forse stato uno dei momenti più brutti”. Poi lo portano nella sala del pronto soccorso e in seguito in un posto dove c'erano molti militari e dei pacchi…poi fuori dall'ospedale. Infine in carcere dove rivede Matteo e Marco. E' all'uscita del pronto soccorso che vede i britannici. Il resto è galera, senza sapere le accuse e in celle separate. Il primo interrogatorio dopo due giorni dopo l'arrivo in carcere. “A me – dice Dell'Aira – è stato anche presentato un elenco dettagliato di quello che avevano trovato, e io prima di firmarlo ho scritto in inglese che non sapevo nulla di quel ritrovamento”. “Ci è stato detto – dice Garatti – che, secondo la procedura, siamo al 90% liberi, ma è possibile che i giudici afgani possano volerci interrogare”. Oggi lo franno invece i magistrati italiani.
Fonte: Lettera22
21 aprile 2010