Rosarno, un messaggio alla ragione, al cuore e alla coscienza
Roberto Morrione
I fatti di Rosarno hanno bussato nello stesso tempo alla ragione, al cuore e alla coscienza degli italiani, lasciandovi un segno indelebile.
Per quanto concerne la ragione, il maturare di quella rivolta, con l’esito finale della feroce “caccia ai neri” da parte della popolazione, alimentata dalla ‘ndrangheta, come la deportazione forzata verso l’ignoto da parte dello Stato, ha dimostrato quanto siano esplosive le conseguenze del vuoto legislativo e sociale in cui il governo ha fatto precipitare la questione dell’immigrazione. Al di là delle propagandistiche sortite del Ministro Maroni, la realtà dimostra il fallimento di scelte che, invece di perseguire gli obiettivi di un pieno inserimento economico e civile di oltre quattro milioni di persone, sono schiacciate fra le incongruenze e gli errori della legge Bossi-Fini e il reato di clandestinità voluto dalla Lega e imposto dalla maggioranza in Parlamento. In nome di una strumentale sicurezza, rivolta soprattutto a lucrare un consenso elettorale alimentato dalla paura e dal pregiudizio di una “diversità” etnica, culturale e religiosa che contrasta con i principi della Costituzione e della Carta Universale dei Diritti dell’Uomo, sono state disattese le linee di integrazione valide a livello europeo, ignorata la realtà dell’ insostituibile ruolo dei lavoratori immigrati nello sviluppo economico del Paese, cancellata la tradizione storica di accoglienza propria di un popolo di emigranti, abbandonati gli stessi valori invocati dalla Chiesa. Intere zone agricole del Meridione sono state private di qualsiasi controllo normativo e di legalità da parte dello Stato, come di nuove iniziative imprenditoriali sviluppate con l’appoggio delle istituzioni, lasciando alle mafie il ruolo di arbitri in un intreccio affaristico senza scrupoli e regole, che fa della forza-lavoro dell’immigrazione un serbatoio a bassissimo costo e ad altissimo profitto, finchè il mercato lo consente e non subentrano più facili e convenienti forme di guadagno.
Esattamente ciò che è avvenuto a Rosarno, quando i “comitati d’affari” ruotanti attorno alle famiglie della ‘ndrangheta hanno deciso che la raccolta degli agrumi, imperniata sullo sfruttamento delle fatiche disumane e in pratica non retribuite degli immigrati, non era più competitiva per l’andamento del mercato e i meccanismi della crisi economica, per essere invece sostituita dai comodi meccanismi previsti dai finanziamenti europei… Come non è affatto da sottovalutare la ragionevole ipotesi che quelle stesse famiglie della ‘ndrangheta attente alla gestione dei costi-ricavi ottenibili dallo sfruttamento degli immigrati, oltre al calcolo economico abbiano voluto allo stesso tempo sviare l’allarme suscitato nelle istituzioni dall’attentato dinamitardo contro la Procura di Reggio Calabria, con il conseguente rafforzamento nel territorio degli apparati giudiziari e di polizia.
E alla ragione parlano le condizioni di abbandono e sottosviluppo, non solo economico, ma prima di tutto civile e culturale, in cui vive la stessa popolazione di Rosarno, frammento dell’abbandono di quella questione meridionale che lo Stato repubblicano e decine di governi di ogni colore non hanno saputo risolvere, fino a rappresentare un ideale terreno di coltura di una “guerra fra poveri” studiata a tavolino e scientificamente fatta esplodere da chi ha deciso per propri interessi di soffiare sul fuoco delle contraddizioni.
Infine parla alla ragione quella sorta di deportazione al buio, davvero verso l’ignoto più che nei centri di detenzione temporanea di mezz’Italia, dell’intera popolazione di colore, certo sulla spinta della situazione di caccia all’uomo che si era scatenata e tinta di razzismo a opera di gente esasperata e per lo più in buona fede, ma manovrata da abili provocatori. Il Governo non ha voluto porsi alcun problema di alternative sociali, di prospettive civili migliori e più umane per quelle centinaia di disperati, buona parte dei quali peraltro provvisti di regolare permesso di soggiorno e in grado di chiedere motivatamente asilo politico. Non c’è peraltro da meravigliarsi di questa sordità e cinica indifferenza, quando il Ministro dell’Interno Maroni, di fronte all’inferno scatenato a Rosarno, ha saputo solo addossare la responsabilità ai “clandestini” e al non essere intervenuti meglio e prima per garantire “sicurezza”. Risponde la ragione: ma dov’era il Ministero dell’Interno quando per anni quella massa di diseredati è stata costretta a vivere praticamente in schiavitù, isolata socialmente, sfruttata selvaggiamente sul lavoro, in condizioni abitative e di salute disumane ai limiti della sopravvivenza? Peraltro a Rosarno come lungo la Via Domiziana e a Castelvolturno o nel tavoliere delle Puglie…
Parlano invece al cuore e alla nostra coscienza le immagini che i media hanno diffuso nel mondo, gli antri e i capannoni abbandonati senz’acqua, luce e calore, in cui uomini come noi si rintanano negli intervalli della disumana fatica nei campi per otto-dieci euro al giorno, tanto restava loro detratte le tangenti dei caporali e dei trasportatori, come nelle notti colme di sogni impossibili, del ricordo di mogli e figli che non potranno mai raggiungerli in questa terra promessa che si è rivelata traditrice e spietata. O le immagini della loro rivolta, dura, che ha colpito alla cieca anche poveracci senza colpa, poco più su di loro nella scala sociale delle disuguaglianze, ma un’azione pur sempre motivata dalla collera, dal rifiuto dell’ingiustizia di cui erano vittime, in un soprassalto di dignità e resistenza a quel sistema mostruoso che li rendeva schiavi delle ‘ndrine, dei profittatori, dei caporali, nell’assenza totale dei diritti e della legalità. Come ha poi scritto Roberto Saviano, gli immigrati africani di Rosarno sono stati in fin dei conti gli unici a rivoltarsi in massa contro la mafia, che ha fatto loro pagare con gli interessi la ribellione, come era avvenuto con la strage di Castelvolturno voluta dai clan casalesi della camorra.
E infine quei volti pieni di sangue, massacrati mentre erano in fuga fra i muri di Rosarno, come in un pogrom razziale nella sanguinosa storia d’Europa o dell’apartheid in altre parti del mondo e le immagini dell’esodo forzato, un fagotto in mano, la testa china di chi è sconfitto e non ha speranze per il futuro, se non il probabile rimpatrio verso la disperata condizione di quell’Africa che si era sperato di abbandonare per sempre. Quante storie personali e quanti destini che non conosceremo mai, perché giornali e telegiornali, passata l’ondata emotiva del ferro e del fuoco, delle voci raccolte alla rinfusa sul campo, ignorati i veri contesti e ogni intelligente analisi sui perché, le origini, i significati di quelle giornate, hanno rapidamente voltato pagina, dopo aver avvolto l’opinione pubblica in un mare di talk show in cui i politici di ogni colore per lo più discettavano mirando ad incolpare la parte avversa senza alcun autentico esame critico delle proprie responsabilità.
Ecco dunque perché Libera Informazione ha deciso di riunire in questa pubblicazione on line le numerose testimonianze, le analisi, le denunce sulla condizione degli immigrati raccolte nel tempo e in buona parte provenienti direttamente dalla Calabria e da Rosarno, sperando di fare cosa utile per chi non sa o ne sa troppo poco, per contribuire, nei limiti del nostro possibile, a far sì che non si ripetano omissioni, errori, responsabilità istituzionali, nell’indifferenza di chi non vuole vedere e sapere.
In nome della ragione, del cuore e della buona coscienza.
Fonte: Liberainformazione
16 febbraio 2010