Anche l’Europa censura i termini “illegalità” e “clandestinità”
Redattore Sociale
La criminalizzazione dei migranti ha fatto irruzione anche nel linguaggio delle più alte sfere politiche europee. Lo rileva un rapporto presentato a Bruxelles dal commissario ai Diritti umani del Consiglio d’Europa.
BRUXELLES – La criminalizzazione dei migranti ha fatto irruzione anche nel linguaggio usato nelle più alte sfere politiche europee. Come rileva il rapporto che viene presentato oggi a Bruxelles dal commissario ai Diritti umani del Consiglio d’Europa (Coe), Thomas Hammarberg, nei testi legislativi e nei programmi europei legati all’immigrazione si usa il termine ‘immigrazione illegale’. Al contrario, il Consiglio d’Europa, per evitare che il termine illegale diventi veicolo di ulteriore stigmatizzazione dei migranti, invita i propri 47 Stati membri a utilizzare in tutti i testi il termine ‘migrazione irregolare’.
“Purtroppo – si legge nel documento del Coe – questi termini legati all’illegalità sono usati anche in situazioni in cui le persone interessate non hanno ancora varcato le frontiere dell’Unione europea, e sono persone che, per quanto ne sanno i funzionari europei – possono essere ancora nel loro paese di origine. Questo uso del termine 'immigrati clandestini' e 'immigrazione clandestina' è errato in quanto gli individui non hanno necessariamente commesso un reato ai sensi della legislazione di uno Stato membro”. Secondo il Coe, “la scelta del linguaggio è molto importante per l'immagine del fenomeno immigrazione che le autorità proiettano sull’opinione pubblica”. Si legge nel rapporto che “essere un immigrato viene associato, attraverso l'uso del linguaggio, con atti illegali ai sensi della legge penale. Tutti gli immigrati diventano degni di sospetto. Il concetto di ‘immigrazione clandestina’ ha l'effetto di rendere sospetto agli occhi della popolazione (compresi i funzionari pubblici), il movimento internazionale delle persone”. Le autorità e organizzazioni che hanno invece scelto di utilizzare le parole ‘irregolare’ o ‘senza documenti’ invece che illegale o clandestino portano l’attenzione del pubblico – secondo il Coe – non tanto su aspetti legati al crimine o a operazioni di polizia, quanto piuttosto al rapporto di un individuo (il migrante) con lo Stato che deve riconoscerne ed eventualmente regolarizzarne la situazione.
La criminalizzazione però non si limita al solo attraversamento dei confini, ma si estende a sfere come l’abitazione, l’occupazione o la libera impresa. Permanere su un territorio quando non se ne ha più il diritto (amministrativo) diventa un crimine, così come si sta via via criminalizzando chi assiste i migranti irregolari (vedi il caso francese, o la criminalizzazione dei capitani di vascello che soccorrono i migranti alla deriva nel Mediterraneo).
Fenomeno altrettanto grave denunciato dal Coe è l’inclusione sotto l’ombrello della criminalità anche dei richiedenti asilo, persone che hanno il pieno diritto a lasciare il proprio paese per trovare accoglienza in posti più sicuri e dove la loro vita non è messa a repentaglio: il respingimento di queste persone, nota il Coe, solleva delle gravi preoccupazioni in materia di rispetto dei diritti umani, dei quali l’Europa (e in particolare l’Unione Europea) si nomina campione, ma che sa rispettare ogni giorno di meno.
Leggi il testo del documento: http://www.commissioner.coe.int/
Fonte: Redattore Sociale
4 febbraio 2010