Il parlamento afghano boccia i ministri di Karzai
Emanuele Giordana - Lettera22
Veto su oltre la metà dei nomi. A maggio le elezioni parlamentari. Proseguono intanto le trattative per la liberazione dei due giornalisti francesi di France 3 rapiti mercoledì scorso in Afghanistan con il loro interprete.
Hamid Karzai aveva presentato la lista dei ministri del suo nuovo governo il 19 gennaio scorso, un mese esatto dopo il suo insediamento come nuovo capo dello stato. Un tempo abbastanza lungo di gestazione ma che non è evidentemente servito a sanare polemiche, controversie e il difficile equilibrio delle alleanze. Il parlamento di Kabul infatti, riunitosi ieri per decidere sulla fiducia alla lista del nuovo gabinetto del presidente (in realtà una sorta di fotocopia del precedente), lo ha clamorosamente bocciato per oltre la metà dei nomi fatti da Karzai: 17 su 24. E' però una bocciatura che, al di là delle percentuali, non penalizza se non in parte il presidente appena riconfermato al suo terzo mandato. I dicasteri chiave infatti – come Difesa e Interno – sono passati, confermando dunque il fatto che anche il parlamento afgano tiene sempre un occhio puntato sui desiderata della comunità internazionale, di cui Karzai è un fedele interprete, che su questi due dicasteri ha gli occhi puntati poiché sono quelli preposti alla gestione della sicurezza e dei rapporti con la Nato. Quanto al titolare degli Esteri, Karzai non ha presentato nessun nome ma già si sa che il presidente è per la riconferma di Rangin Dadfar Spanta. Buio assoluto su Abdullah Abdullah, il rivale elettorale cui Karzai aveva inizialmente proposto una sorta di super premierato. Sdegnosamente rifiutato.
A scorrere la lista di promossi e bocciati (Karzai ci riproverà a febbraio) ci sono almeno un paio di eclatanti sorprese: il nome più illustre tra i silurati dai parlamentari afgani è infatti quello del vecchio leone di Herat, il signore della guerra Ismail Khan, che era stato destinato – come già nel passato esecutivo – al ministero dell'Acqua e dell'Energia, suo terreno di caccia preferito. Ma suona dura anche la bocciatura dell'unica donna che sarebbe dovuta entrare nel gabinetto di Karzai, la signora Husn Banu Ghazanfar, che era stata riconfermata dal presidente al ministero per gli Affari femminili. Il parlamento ha messo il disco rosso anche al candidato al ministero della Giustizia, Sarwar Danish e ai candidati per i posti di ministro al Commercio, Economia, Sanità e Istruzione. Tra questi, Mohammad Amin Fatimi (Sanità) e Amirzai Sangin (Informazione) sono considerati due “fedelissimi” del presidente.
Ce l'hanno fatta invece il ministro della Difesa Abdul Rahim Wardak, riconfermato nell'incarico, e il titolare dell'Interno Mohammad Hanif Atmar, che già aveva in mano l'importante dicastero, entrambi nella manica della comunità internazionale. Disco verde anche per il ministro delle Finanze, Mohammad Omar Zakhelwal.
Intanto è stato reso ufficialmente nota la data per le elezioni parlamentari. Un funzionario della Commissione elettorale ha infatti confermato che si svolgeranno il 22 maggio di quest'anno e che il costo sarà di 120 milioni di dollari, oltre la metà dei quali sono già nelle casse afgane. Saranno queste l'ultimo banco di prova della zoppicante democrazia afgana, dopo le elezioni dei Consigli provinciali ma soprattutto dopo le presidenziali (tenutesi entrambe in agosto), vessate da brogli e conclusesi con la farsa della proclamazione di Karzai alla guida del paese per la terza volta (dopo un interim e una prima elezione).
Proseguono intanto le trattative per la liberazione dei due giornalisti francesi di France 3 rapiti mercoledì scorso in Afghanistan con il loro interprete. Il portavoce del governatore provinciale di Kapisa, Alim Ayar, ha spiegato benché non ci sia stato ancora un risultato positivo dei negoziati, il governo afgano sta cercando di ottenere con l'aiuto dei capi tribali locali il rilascio dei due francesi e del loro aiutante e che le informazioni in possesso del governo dicono che al momento i rapitori tengono i giornalisti francesi in una valle del distretto di Alasia, una delle zone più remote della provincia di Kapisa, dove è alta la presenza di talebani. Per ora non si parla di azioni mirate anche se il portavoce del governatore ha aggiunto che “nonostante le trattative siano serrate, se la trattativa dovesse fallire, l'unica opzione per liberare i giornalisti sarebbe quella militare”.
Fonte: Lettera22
3 gennaio 2010