Il cambiamento in Iran è la chiave di ogni svolta nel Medio Oriente


Ahmad Rafat


La situazione in Iran è sempre più esplosiva. Gli arresti di attivisti politici, delle femministe, dei giornalisti e dei leader del movimento studentesco continuano.


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Il cambiamento in Iran è la chiave di ogni svolta nel Medio Oriente

La situazione in Iran è sempre più esplosiva. Gli arresti di attivisti politici, delle femministe, dei giornalisti e dei leader del movimento studentesco continuano. Vari esponenti del governo e personaggi vicini alla Guida Suprema hanno chiesto la pena di morte per i leader dell’Onda Verde, accusandoli di moharebeh, ossia guerra contro Allah e l’islam. “Gli eventi successivi alle farsa elettorale dello scorso giugno erano più o meno prevedibili”, sostiene Babak Payami, regista irano-canadese che nel 2001 si è aggiudicato a Venezia il Leone d’Argento con “Il voto è segreto”, un film sulle elezioni nella Repubblica Islamica.  Secondo Payami, che vive e lavora tra il Canada e l’Italia, “ci sono diverse similitudini, ma anche delle differenze, tra quanto è accaduto nel 1979 (durante la rivoluzione khomeinista che pose fine alla monarchia) e la rivolta di questi ultimi mesi”.

“Oggi la rivolta coinvolge oltre alla capitale i grandi centri urbani, ed ha come protagonisti i giovani e gli studenti universitari, esattamente come accadeva 31 anni fa”. “La differenza , aggiunge Payami, sta nel fatto che mentre nel 1979 i giovani erano ideologizzati ed influenzati dai partiti e dalle organizzazioni politiche, il movimento verde non è allineato politicamente e si batte principalmente per i diritti civili”.

Il regista iraniano, che nel 2003 è stato costretto ad abbandonare il paese, dopo un breve periodo di detenzione e con la confisca del materiale girato del suo ultimo film, sostiene che “la corruzione politica, economica e culturale hanno eroso le fondamenta del regime islamico, rendendo ormai inefficace il populismo che per anni ha caratterizzato la Repubblica Islamica, permettendo ai governi che si sono succeduti in questi anni di godere dell’appoggio dei ceti più poveri della società”.

Il regista irano-canadese impegnato da sempre al fianco di altri cineasti nella lotta per la libertà d’espressione in Iran, si dice convinto che ormai “gli iraniani sono convinti che la religione, la teocrazia e la preghiera non sono mezzi adeguati per governare un paese, e che la separazione della fede dalla politica sia indispensabile per ogni cambiamento, anche se essendo l’Islam oltre che una religione anche una forma di governo, rende tutto più complicato”. “La teocrazia che governa il paese da 30 anni – aggiunge Payami – ormai dispone di risorse economiche tali che non cederà facilmente il potere e non capitolerà pacificamente davanti alle richieste di cambiamento che provengono dalle piazze”.

“Il collasso della Repubblica Islamica non sarà non violenta sul modello delle “rivoluzioni di velluto” alle quali abbiamo assistito in Ucraina o in altri paesi dell’Europa orientale”, sottolinea il regista, definendo “sorprendente la reazione non violenta che fino ad oggi ha caratterizzato il movimento verde, malgrado l’inammissibile violenza con la quale è intervenuto il governo nel tentativo de sedare la rivolta post elettorale”.

Per Babak Payami, la fine del regime islamico non sarà decretata da un rovesciamento imposto dal movimento, ma  avverrà per il collasso del sistema che non ha più alcuna capacità di governare il paese, se non ricorrendo alla violenza e trasformandosi in una struttura militare e militarizzata”.

“Le manifestazioni di piazza, sono necessarie per il cambiamento- sottolinea il regista – ma non sufficienti”. Le soluzioni a questo punto, nell’analisi del regista iraniano, non possono che essere due. “La prima- dice-  è la presenza di carri armati per le strade sullo stile di Tienanmen, con la conseguente trasformazione del movimento civile in una forza para militare sotterranea, oppure una ritirata del regime, come successe nel 1979, quanto il monarca Mohammad Reza Pahlawi abbandonò il paese, facilitando cosi la resa dei militari e la vittoria della rivoluzione khomeinista”.

Per Babak Payami “la vulnerabilità del movimento verde sta nel fatto che ha come denominatore comune solo i diritti civili ed è carente di una leadership adeguata”. “E’ un movimento unito intorno a cose che non vuole, ma molto ambigua su quello che vuole”, sottolinea il regista, il quale è convinto che “l’unica alternativa possibile al regime teocratico attuale, sia un sistema laico basato sulla netta separazione della fede dalla politica”. “La nascita di questo Iran laico e democratico – conclude Payami – è la chiave di svolta in Medio Oriente e di conseguenza l’elemento necessario a garantire la pace nel mondo”.

Fonte: Articolo21

31 dicembre 2009

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