La Rai in Africa? "Una piacevolissima anomalia"


La redazione


Enzo Nucci, il corrispondente europeo della Rai dall’Africa racconta i primi mesi di lavoro dalla sede di Nairobi, Kenia: "Dobbiamo trovare un modo diverso per raccontare questo continente che vive un periodo di grande fermento culturale".


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La Rai in Africa? "Una piacevolissima anomalia"

Enzo Nucci è il corrispondente europeo della Rai dall’Africa. Dalla primavera scorsa è infatti attiva a Nairobi (Kenia) una nuova sede della televisione pubblica, una “piacevolissima anomalia”, come ama definirla Nucci, nata su iniziativa della società civile e raccolta poi dalla Rai che ha deciso di investire in una delle terre più dimenticate del mondo. A Milano il 1 ottobre scorso, su iniziativa della Provincia e del Coordinamento nazionale degli enti locali per la pace e i diritti umani, il suo intervento (via telefono da Nairobi) è stato applaudito dalle numerose comunità presenti all’incontro “Pace e giustizia in Africa: la società civile africana a confronto”. Le domande sono di Luciano Scalettari, giornalista di Famiglia Cristiana.

Enzo Nucci, dopo questi primi mesi di lavoro dall’Africa, quali risultati sono stati raggiunti?
Intanto devo dire che ci sono stati molti ritardi per quanto riguarda la questione tecnica della sede, che per fortuna stiamo risolvendo. La sede Rai di Nairobi nasce da una piacevolissima anomalia, ovvero dal fatto che la Rai abbia deciso di aprire una sede sulla scia della domanda arrivata direttamente dalla società civile, associazioni, volontariato, ong… E’ dunque una sede che nasce in modo diverso dal solito (quando solitamente in questi casi pesano soprattutto interessi di altro genere), e questo rende il lavoro ancora più impegnativo e di responsabiltà. In questi mesi abbiamo cercato di illuminare il continente africano, in un anno siamo stati tre volte in Somalia, l’ultima nel giugno scorso (proprio assieme a Luciano Scalettari, ndr) per un servizio che è andato in onda sul TG1: erano anni che la Rai non aveva un suo inviato in Somalia! Sono piccole cose, piccoli segni che qualcosa sta cambiando. Ho conosciuto i giornalisti di Horn Afrique Radio di Nairobi, e con loro ahimè anche il collega che è stato assassinato nell’agosto scorso… Poi l’Etiopia, il Sud-Africa, il Kenia: devo dire che rispetto a prima si parla un po’ di più di Africa oggi in Rai.

Quali spazi ci possono essere per l’Africa nel servizio pubblico?
Da un lato è in corso una battaglia per conquistare nuovi spazi nel palinsesto, ma per fare questo bisogna anche iniziare a cambiare registro sull’Africa, cominciare a dire che l’Africa non è solo guerra. Ricordo la frase di un intellettuale africano che ripeteva spesso rivolto al mondo occidentale: “Noi sappiamo come muoiono gli africani, ma non sappiamo come vivono”.

A cosa pensi in particolare?

In questi mesi ho scoperto molte cose: la vitalità africana, la sua vita culturale, scrittori, intellettuali, scultori, pittori… Mi piacerebbe parlare di questo dall’Africa, della musica africana di cui conosciamo solo qualche esponente, e del calcio africano che sta emergendo con forza.

Quali sono i rapporti con la stampa, e in generale i media africani?
I rapporti con la stampa africana sono essenziali, e ci sono professionalità di altissimo livello, tanti giovani e tantissime radio, soprattutto. Nairobi è una metropoli con 4 milioni di abitanti, di cui due terzi vivono negli slum. L’interscambio è importante. Il percorso dell’informazione è un percorso duro e accidentato. E bisogna lavorare insieme per sconfiggere certi cliché, certe immagini stereotipate di questo continente che non aiutano più a capire… La biennale di Venezia ha dedicato una sezione all’arte contemporanea africana, e questo è un altro segnale importante. Bisogna incentivare questo diverso atteggiamento.

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