Fame, è record: 1 miliardo e 20 milioni. “Per vincere la povertà puntare sulle donne”
Rosaria Amato
L’Indice Globale della fame redatto dall’Ifpri e presentato da Link 2007. Dal 1990 si è ridotto di un quarto, ma in Asia meridionale e Africa Subsahariana si sta peggio. Solo adeguati investimenti per l’istruzione e la salute possono salvaguardare i bambini garantendo il futuro dei Paesi in via di sviluppo.
ROMA – Per sconfiggere la fame spesso si cita il proverbio cinese che suggerisce di insegnare a un uomo a pescare, piuttosto che dargli direttamente un pesce. Ma dall'”Indice Globale della fame 2009″, redatto dall’IFPRI (International Food Policy Research Institute), che l’associazione Link 2007 presenterà domani alla Farnesina (in vista del vertice mondiale sulla sicurezza alimentare dell’Onu, da lunedì a Roma) emerge un’indicazione diversa: se si vuole veramente sconfiggere la fame nel mondo bisogna puntare sulle donne, sulla loro istruzione e anche sul loro benessere. I Paesi che nel mondo presentano i livelli più alti di denutrizione (per esempio il Pakistan, o il Ciad), sono anche quelli che presentano la maggiore disuguaglianza di genere. E i Paesi che sono riusciti a sollevarsi, acquistando faticosamente un livello minimo di benessere, a cominciare dallo Sri Lanka, o dal Botswana, al contrario hanno approvato importanti riforme, garantendo l’istruzione alle donne, e promuovendo in modo ampio la parità di genere.
“L’eguaglianza di genere non è solo socialmente auspicabile: è un pilastro centrale nella lotta contro la fame”, sostiene la Task Force istituita dall’Onu nel 2005 per il Progetto di lotta contro la fame. Il rapporto odierno pertanto non fa che ribadirlo: “Alti tassi di denutrizione sono connessi anche alle disparità tra uomini e donne relativamente alla salute e alla sopravvivenza”. Gli autori esaminano una serie di casi virtuosi, nei quali è stato lo Stato a promuovere e finanziare politiche per l’istruzione delle donne: per esempio il Messico con il programma Oportunidades, grazie al quale le famiglie povere ricevono degli aiuti economici condizionati alla frequenza scolastica dei figli e alle visite mediche.
Un miliardo e 20 milioni, record di malnutriti. La scolarizzazione e la promozione del ruolo delle donne all’interno della società è considerato dunque uno strumento fondamentale per la lotta alla fame e alla povertà, che rimane ancora “il primo e il più pressante degli Obiettivi del Millennio”, scrive nella prefazione del rapporto Elisabetta Belloni, direttore generale per la Cooperazione allo Sviluppo. “Un imperativo reso oggi ancora più drammatico e urgente dalle conseguenze della crisi economica e finanziariai mondiale sui Paesi in via di sviluppo, che ha aggravato gli effetti già disastrosi della crisi alimentare”, ricorda Belloni. Tanto che il numero delle persone malnutrite nei Paesi in via di sviluppo ha raggiunto la cifra record di un miliardo e 20 milioni di persone. “Negli anni Ottanta e all’inizio degli anni Novanta – si legge nel rapporto – c’è stato un progresso nella riduzione della fame cronica. Nella decade scorsa la fame è stata in aumento”.
GHI alto in Asia meridionale e Africa Subsahariana. Certo, guardando al 1990, anno che viene preso come riferimento dal rapporto, in effetti c’è stata una riduzione di un quarto dell’Indice Globale della Fame (GHI). Ma tale riduzione non è stata affatto omogenea: miglioramenti consistenti si sono registrati nel Sudest asiatico, Vicino, Oriente, Nord Africa, America Latina e Caraibi, ma il GHI “rimane alto in modo desolante in Asia meridionale, dove pure si sono registrati dei progressi rispetto al 1990, e in Africa Subsahariana, dove i progressi sono stati marginali”. Infatti tutti i Paesi con il più alto valore di GHI si trovano in Africa Subsahariana: si tratta di Burundi, Ciad, Repubblica Democratica del Congo, Eritrea, Etiopia e Sierra Leone, paesi falcidiati ,oltre che dalla fame, dalla guerra e dai conflitti armati. I Paesi con un valore allarmante dell’Indice sono 29.
I Paesi con i miglioramenti più significativi. I miglioramenti più ampi in percentuale tra il 1990 e il 2009 si sono invece registrati in Kuwait, Tunisia, Figi, Malaysia, Turchia, Angola, Etiopia, Ghana, Nicaragua e Vietnam. Nel complesso, il GHI è sceso in 30 anni di solo il 13 per cento nell’Africa Subsahariana, del 25 per cento in Asia meridionale, di oltre il 32 per cento nel Vicino Oriente e in Nord Africa. Particolarmente significativi i progressi nel Sud-Est asiatico e in America Latina (-40 per cento).
Le cause principali della fame. I valori del GHI in Asia meridionale e Africa Subsahariana sono molto simili (rispettivamente 23 e 22,1) ma le cause dell’insicurezza alimentare sono diverse. In Asia meridionale, sottolineano gli autori del rapporto, “lo scarso accesso alle donne a una nutrizione ed educazione adegiate e il loro basso status sociale contribuiscono a un’alta prevalenza dell’insufficienza di peso nei bambini sotto i cinque anni”. Mentre in Africa Subsahariana “la scarsa efficacia dei governi, i conflitti, l’instabilità politica e gli alti tassi di HIV e AIDS portano a un’alta mortalità infantile e a un’alta percentuale di persone che non possono soddisfare il proprio fabbisogno calorico”.
L’eccezione del Ghana. Unica eccezione nella Regione è il Ghana, che ha più che dimezzato il proprio valore di GHI dal 1990 a oggi. In una opposta situazione si trova il Congo, che è in testa ai ‘perdenti’, i Paesi la cui situazione è cioè estremamente peggiorata. Seguono Burundi, Comore, Zimbabwe, Liberia, Guinea Bissau, Corea del Nord, Gambia, Sierra Leone, Swaziland. La Sierra Leone ha in particolare il più alto tasso di mortalità sotto il cinque anni.
La minaccia della crisi finanziaria. Nei prossimi anni, se non si provvede con politiche adeguate, potrebbe ancora aggravarsi la situazione dei Paesi già in forte sofferenza. L’IFPRI stima che la recessione e la riduzione degli investimenti in agricoltura “potrebbero portare entro il 2020 a 16 milioni di bambini malnutriti in più, rispetto a una situazione in cui la crescita economica continuasse e gli investimenti risultassero costanti”.
Cosa serve: agricoltura sostenibile, sicurezza, salute. Risolvere i problemi legati alla malnutrizione non richiede solo ingenti stanziamenti economici, ma anche strategie di lungo periodo. Secondo Link 2007, associazione che raggruppa 10 tra le più importanti Ong italiane (Avsi, Cesvi, Cisp, Coopi, Cosv, Gvc, Icu, Intersos, Lvia, Medici con l’Africa CUAMM) e che si è fatta carico della traduzione del rapporto, bisogna mettere a punto innanzitutto una strategia in grado di ridurre le disparità di genere, “garantendo alle donne accesso all’istruzione e alla salute, condizioni essenziali per la loro emancipazione economica e politica e quindi per combattere la fame”. “Là dove le donne sono più istruite – sottolinea ancora il rapporto – ed hanno accesso a servizi sanitari migliori, ne beneficiano tutti i componenti della familgia, in particolare i bambini sotto i cinque anni”. Ma, ancora, bisogna “tornare a reinvestire nello sviluppo dell’agricoltura, con tecniche sostenibili e che non impattino negativamente sull’ambiente. “La fuga delle campagne verso le città – conclude Link 2007 – non è la soluzione al problema della fame. Lo è invece una strategia di lungo periodo volta a portare sicurezza, lavoro, salute ed educazione là dove mancano”.
Fonte: Repubblica.it
11 novembre 2009