L’Onu colpita al cuore


Emanuele Giordana - Lettera22


Se Mullah Omar ha fatto un raffinato calcolo politico è difficile da dire, ma indebolire l’Onu significa indebolire il pilastro umanitario e fare un regalo a chi dice: “Vedete? Avevamo ragione, dateci più soldati”.


CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+
L'Onu colpita al cuore

Se anche le Nazioni Unite – i tutori dell'aiuto umanitario neutrale ed imparziale – entrano nel mirino, si compie un salto di qualità senza precedenti nel cuore del conflitto afgano. Non è la prima volta però che gli uomini del Palazzo di vetro pagano il prezzo del conflitto. E non sono esattamente le stimmate della neutralità la percezione che circola in Afghanistan rispetto agli inviati del Palazzo di vetro. E ancora: purtroppo il volto dell'Onu non è in questo paese sinonimo di garanzia, protezione, diritto umanitario. Almeno così non la pensano buona parte degli afgani: “Un ente inutile” per molti di loro. Auto bianche e palazzi blindati, come la sede dell'Undp che sembra una fortezza, assai più corazzata della vicina ambasciata cinese o iraniana.
Il quartiere della strage è Sharenaw. L'Onu vi ha occupato diversi stabili e ne ha costruiti altri in stile “palazzo di vetro”, con grandi vetrate che rendono invisibile l'interno. Se Unama, la missione Onu in Afghanistan, voleva dare il segnale di essere vicina agli afgani – più vicina della Nato o delle cancellerie occidentali, blindate come fortini – l'operazione non è riuscita. Perché?
Fino ad ora a pagare erano stati soprattutto i contrattisti locali: uomini che distribuiscono cibo o cemento e che spesso finiscono nelle mani dei talebani: sequestri, intimidazioni, violenze. Ma, non essendo occidentali, è difficile che la notizia passi oltre il filtro delle agenzie di stampa:. E' la storia di molti volti anonimi delle Nazioni unite. Afgani che, per un buon stipendio, rischiano sulla linea del fronte, lontani dagli uffici dove lavora lo staff passando carte e partecipando a meeting. Ma fino a ieri la logica talebana era abbastanza chiara come, per altro, agli inizi dell'anno scorso spiegava bene un memo riservato che girava tra gli organismi internazionali. Attraverso una sorta di fatwa, i talebani avevano minacciato qualsiasi afgano partecipasse alle azioni, anche umanitarie, del nemico. Ecco perché a pagare erano soprattutto loro, gli afgani, cittadini di serie B anche nella grande famiglia dell'Onu. Ma cosa è cambiato adesso?
Le Nazioni unite sono nella bufera da un po'. Benché Kai Eide, il nordico capo di Unama, si sia molto speso soprattutto sulla questione delle vittime civili, la missione non riesce a scrollarsi di dosso la percezione che sia organica al governo Karzai, ai comandi Nato, alle cancellerie occidentali. “Schiacciata”, come spiegava un funzionario. E dunque lontana dalla gente comune, la miglior difesa per gli operatori umanitari.
Quando girò il memo la stretta fu immediata. Per tutti, Ong comprese. Ma per Unama, o per i tecnici delle Cooperazioni bilaterali, ancora di più: mai uscire per strada, auto blindate, nessuna esposizione. Dunque nessun contatto col popolino. I talebani sembrano voler sfruttare proprio questa lontananza e la sensazione di un ente inutile che esegue un comando anziché occuparsi dei bisogni primari della gente.
Questa percezione era arrivata anche a Ginevra, dove ha sede l'Ufficio per gli affari umanitari (Ocha). Il suo direttore, John Holmes, si scontra l'estate scorsa con Eide. Vuole che in Afghanistan l'Onu cambi faccia e ritorni ad essere l'attore neutrale che dovrebbe essere. E' appena stata dimenticata la proposta folle che un solo uomo riassumesse in sé tutte le cariche: capo della Nato, della delegazione Ue, di Unama, una catastrofe se la scelta fosse stata fatta. Ma, forse più per una ripartizione di poltrone, l'idea va in cantina e, all'Onu, la spunta Eide. Che però viene giudicato – col passare del tempo – troppo debole. In agosto Kai si oppone all'idea che si apra un ufficio Ocha in Afghanistan ma deve cedere, persino Ban Ki moon è d'accordo con Holmes. Da allora si sta tentando una sorta di risalita impossibile.
Poi, dopo le elezioni, l'altro scontro, col suo vice Galbraith che vuole annullare il voto. Eide lo licenzia e si apre un'altra lacerazione.
L'attacco dei talebani al cuore del potere umanitario è un colpo durissimo. Pianta una lama nel punto più debole e fragile dell'impalcatura occidentale in Afghanistan. E nell'unica istituzione dove la voce di tutti i paesi del mondo ancora si fa sentire. Una voce fioca, osteggiata, ancor prima che dagli afgani, dagli stessi “alleati” occidentali, per i quali l'Onu è davvero un “ente inutile”, vestigia di un passato da dimenticare.
Se mullah Omar ha fatto un raffinato calcolo politico è difficile da dire, ma indebolire l'Onu significa indebolire il pilastro umanitario e fare un regalo a chi dice: “Vedete? Avevamo ragione, dateci più soldati”. E' la logica del tanto peggio tanto meglio. E può funzionare. Il terrore nel compound dell'Onu è anche questo: una bomba la cui esplosione rischia di fare a pezzi l'unica deterrenza allo sviluppo di una situazione che molti ancora vorrebbero dominata dalla sola opzione militare.


Fonte: Lettera22 e il manifesto

CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+

Lascia un commento