L’immigrazione nel XIX Rapporto Caritas/Migrantes


Caritas


E’ stato presentato ieri a Roma il Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes. L’analisi e la sintesi di Franco Pittau “Immigrazione, la vera emergenza è il catastrofismo”.


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L’immigrazione nel XIX Rapporto Caritas/Migrantes
L’immigrazione nel XIX Rapporto Caritas/Migrantes
 
Franco Pittau, Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes
Roma,Teatro Orione, 28 ottobre 2009

 
Presentare il Dossier Caritas/Migrantes significa sintetizzarlo. Tre sono i punti in grado di riassumere i nuovi numeri: inquadrare gli immigrati come regolari e non come clandestini; inquadrarli come lavoratori e non come delinquenti; inquadrarli come cittadini e non come stranieri.
 
Da irregolari a regolari

 Se, come attesta l’Istat, gli immigrati regolarmente residenti in Italia sono quasi quattro milioni, e anche di più secondo la stima del Dossier Caritas/Migrantes, è fuorviante continuare a inquadrare il fenomeno nell’ottica degli sbarchi irregolari, prendendo una parte per il tutto e dipingendo negativamente la situazione.
 Il Dossier 2009, ispirandosi allo slogan “Immigrazione: conoscenza e solidarietà”, fornisce gli strumenti per rovesciare questa falsa immagine, non tanto sulla base delle motivazioni pastorali di Caritas e Migrantes (peraltro apprezzabili), bensì sulla base dei dati, che da due decenni continuano a essere forniti con accuratezza e con completezza. Il Dossier è un sussidio a disposizione di quanti vogliono farsi carico di una seria opera d’informazione, per certi aspetti anche di controinformazione.

 Questi sono alcuni aspetti sui quali concentrare l’attenzione:
– i 4 milioni e 330 mila cittadini stranieri presenti regolarmente, pari al 7,2% della
popolazione italiana;
– i 2 milioni di lavoratori, che concorrono alla creazione della ricchezza del “sistema Italia” e aumentano ogni anno per supplire alle carenze della forza lavoro;
– gli 862 mila minori figli di genitori stranieri, ormai un decimo della popolazione minorile,  nella maggior parte dei casi nati in Italia, che giustamente considerano la loro terra;
– le 629 mila presenze a scuola in rappresentanza di tanti paesi, un vero e proprio mondo in classe;
– le oltre 100 mila persone che vengono ogni anno per ricongiungimento familiare nell’ottica di un insediamento stabile;
– i 72 mila nuovi nati in Italia nel corso dell’anno, che costituiscono un supporto
indispensabile al nostro sbilanciato andamento demografico;
– le 40 mila persone che acquisiscono annualmente la cittadinanza italiana, a seguito di matrimonio o di anzianità di residenza, mostrando un forte attaccamento al nostro Paese;
– i 24 mila matrimoni misti tra italiani e immigrati, che costituiscono una frontiera complessa, suggestiva e promettente della convivenza tra persone di diverse tradizioni culturali e religiose;  
– i circa 6 mila studenti stranieri che si laureano annualmente in Italia, in buona parte destinati a diventare la classe dirigente nel Paese di origine.
Se noi non troveremo un altro modo di parlare dell’immigrazione diverso dai discorsi sugli sbarchi e sull’irregolarità, resteremo incapaci di gestire responsabilmente l’Italia che si va costruendo, nella quale già adesso 1 ogni 14 abitanti è un cittadino straniero regolarmente soggiornante.
 Gli sbarchi, che ci ostiniamo a utilizzare come un bollino nero da apporre sul fenomeno migratorio, coinvolgono un numero di persone pari nemmeno all’1% delle presenze regolari, senza contare poi che oltre la metà delle persone sbarcate sono richiedenti asilo, quindi persone meritevoli di protezione secondo le convenzioni internazionali e la Costituzione italiana.
 
 Intanto l’immigrazione, che continua ad aumentare a ritmi serrati con 300/400 mila unità l’anno, mostra di essere connaturale alla crescita del nostro Paese. La vera emergenza, stando alle statistiche, è il catastrofismo migratorio, l’incapacità di prendere atto del ruolo assunto dall’immigrazione nello sviluppo del nostro Paese
 
Da delinquenti a lavoratori

 Quando si parla degli immigrati residenti, le indagini indicano che 6 italiani su 10
considerano gli stranieri più inclini a delinquere degli italiani. Questo atteggiamento è diffuso in molti ambienti, anche in ambito ecclesiale: non stiamo qui a discutere se su questo risultato abbiano influito di più i politici o i media,o gli studiosi, ma cerchiamo di dimostrare che, per quanto diffuso, si tratta di un pregiudizio, la cui infondatezza è stata confermata in una ricerca condotta dal Dossier e dall’agenzia Redattore sociale, attraverso questi passaggi:
– non esiste in Italia una emergenza criminalità, perché non ci distinguiamo in negativo in un confronto europeo e nel contesto italiano le denunce penali da alcuni anni sono in diminuzione e il livello attuale (poco più di 2 milioni e mezzo di denunce) è pari a quello dei primi anni ’90 quando iniziava l’immigrazione di massa;
– l’aumento delle denunce contro i cittadini stranieri regolari risulta inferiore all’aumento della popolazione straniera e, ad esempio, nel periodo 2001-2005 le denunce sono aumentate del 46% e gli stranieri residenti del 101%;
– gli immigrati regolari, a conclusione di un confronto per classi di età con gli italiani,
mostrano di avere un tasso di criminalità simile, ma con maggiori attenuanti;
– gli immigrati irregolari, a loro volta, non sono da stigmatizzare come inclini alla criminalità, ma va considerata la loro esposizione alle necessità materiali, l’esclusione sociale, le spire della criminalità organizzata, anche in conseguenza degli scarsi spazi di ingresso e soggiorno regolare previsti dall’attuale normativa, che perciò andrebbero resi più agibili per evitare che continuino a essere una tra le occasioni più ricorrenti di infrazione penale.
Se la normativa sugli stranieri fosse del tutto funzionale, non ci sarebbe stato bisogno di offrire la possibilità di regolarizzazione, nello scorso mese di settembre, a 300 mila collaboratrici familiari e badanti non comunitarie, che si aggiungono ai 2 milioni di immigrati regolarizzati in precedenza: questo significa che più della metà della popolazione straniera è passata per le vie dell’irregolarità.
 Queste considerazioni ci portano a passare dall’immagine dell’ “immigrato criminale” a quella dell’ “immigrato lavoratore” e a considerare la valenza positiva di queste nuove presenze.
Anche a questo riguardo alcuni dati sono eloquenti:
– un tasso di attività di 12 punti più elevato degli italiani;
– una accentuata canalizzazione, nonostante il loro elevato livello di studio, nei settori e nelle mansioni che gli italiani non prediligono (ad esempio, oltre 100 mila in agricoltura, oltre 300 mila nel settore edile, mentre nel settore della collaborazione familiare la stima corrente di circa 1 milione è nettamente superiore al numero delle persone effettivamente registrate);
– una maggiore esposizione al rischio, con 143.651 infortuni, dei quali 176 mortali;
– un maggior bisogno di tutela, come attesta la massiccia iscrizione a Cgil, Cis, Uil e Ugl (quasi un milione di sindacalizzati), sia quando sono regolarmente assunti, sia ancor di più quando sono costretti a lavorare nel sommerso.
Questi lavoratori umili e tenaci, non appena possibile diventano essi stessi creatori di posti di lavoro. I titolari d’impresa con cittadinanza straniera, aumentati del 10% anche in questa fase di crisi, sono attualmente 187 mila. Se ad essi aggiungiamo un numero quasi uguale di soci e amministratori e circa 200 mila dipendenti, arriviamo a una realtà occupazionale di mezzo milione di persone, come è stato evidenziato nel rapporto Immigratimprenditori, realizzato dalla Fondazione

 
Ethnoland con il Dossier Caritas/Migrantes. Questa interessante realtà imprenditoriale, se adeguatamente aiutata, potrebbe raddoppiare la sua consistenza nel volgere di un decennio.
 Perciò, restando su un piano di concretezza, sembra necessario proporre una serie di misure di buon senso, meritevoli di essere condivise da tutti gli schieramenti politici:
– rendere più agevoli i meccanismi di inserimento dei lavoratori immigrati nel nostro mercato occupazionale;  
– eliminare le discriminazione nei loro confronti (qualifiche, trattamento retributivo e altri benefici contrattuali), incentivarne la formazione professionale e garantire pari opportunità;
– promuovere l’imprenditorialità degli immigrati non solo nella fase iniziale ma anche in quella successiva, nella quale gli immigrati come gli italiani possono incontrare delle difficoltà.  
 
Da lavoratori a cittadini

 “Da lavoratori a cittadini”: questo obiettivo fondamentale è il titolo di un convegno
promosso lo scorso anno dal Dossier e dall’Ambasciata tedesca per riflettere sulle politiche migratorie condotte in Germania e in Italia, La riflessione sull’immigrazione resta incompleta se limitata all’utilità dei lavoratori immigrati e va estesa alla sua considerazione come nuovi cittadini.
Una buona metà di essi si trova in Italia da più di 5 anni e ha già ottenuto o sta per ottenere il permesso CE per lungoresidenti (la ex carta di soggiorno), con la prospettiva quindi di una permanenza a tempo indeterminato. In realtà, insediamento duraturo ed estraneità sociale non sono due impostazioni che si possano conciliare, per giunta ritenendole un’accortezza necessaria per
salvare l’Italia.
 Quando alla base si cerca di far maturare questa convinzione, ci si scontra con due riserve, una di natura finanziaria e l’altra di natura culturale, sollevate spesso in buona fede ma da ritenere non motivate .
 La riserva di natura finanziaria consiste nell’eccepire che accoglienza, inserimento,
integrazione sono prospettive finanziariamente costose e gli immigrati non devono pesare ulteriormente sul bilancio dello Stato e degli Enti Locali.
 Secondo i dati disponibili questa riserva non è fondata. Se gli immigrati incidono per il 7% sulla popolazione residente e per il 10% sulla creazione della ricchezza nazionale, ciò significa che la loro presenza non costituisce una perdita per il sistema Italia, così come non lo è per gli immigrati stessi e per i Paesi di origine, ai quali i migranti inviano dall’Italia 6,4 miliardi di euro come rimesse, un aiuto molto concreto al loro sviluppo a fronte delle promesse non mantenute a
livello di politica internazionale).
Gli immigrati, al pari degli italiani, hanno anch’essi bisogno di misure di supporto dal
sistema di welfare nazionale, ma assicurano i mezzi perché questo possa essere fatto.  
Pagano annualmente 7 miliardi di contributi previdenziali, ma a essere pensionati sono in poche migliaia. Tra gli italiani, invece, vi è attualmente un pensionato ogni 5 residenti, mentre tra gli immigrati, tra 10 anni, vi sarà un pensionato ogni 25 residenti, con notevoli vantaggi per il nostro sistema previdenziale.
Gli immigrati pagano annualmente almeno 4 miliardi di euro di tasse ma incidono, secondo una stima della Banca d’Italia, solo per il 2,5% sulle spese per istruzione, pensione, sanità e sostegno al reddito, all’incirca la metà di quello che assicurano in termini di gettito. La riserva di natura socio-culturale-religiosa è più insidiosa e porta ad aver paura degli immigrati perché si ritiene che essi inquinino la società con le diverse tradizioni culturali di cui sono portatori e contrastino l’attaccamento alla nostra religione.
 Le indagini sul campo, in sintonia con la conoscenza diretta che ha maturato la rete Caritas e Migrantes, attestano che la maggior parte degli immigrati mostra apprezzamento per l’Italia, la sua storia, la sua arte, il suo clima e la sua gente. Esprimono lo stesso apprezzamento anche per la comunità cattolica, che è stata fin dall’inizio al loro fianco per aiutarli a far valere le loro aspettative. Su questo aspetto il magistero ecclesiale è stato netto, condannando chi fa riferimento a Dio per andare contro i fratelli, anche se di altra fede, e invitando alla convivenza multireligiosa e alla collaborazione sociale.
 
 In conclusione, il Dossier non afferma che l’immigrazione non presenti aspetti problematici ma, attraverso i numeri, ci orienta verso una sua visione realistica e più positiva. Ciò comporta da parte di ciascuno di noi una messa a punto dell’atteggiamento personale, liberandolo dai pregiudizi, e da parte dei politici una maggiore apertura in materia di cittadinanza e di partecipazione, come anche la messa a disposizione di maggiori risorse. Infatti, la vera emergenza in Italia migratoria è la mancanza di un consistente “pacchetto integrazione” che prepari allo scenario  di metà secolo, quando saremo chiamati a convivere con 12 milioni di immigrati, la cui presenza sarà necessaria per il funzionamento del Paese.  

Fonte: Caritas.it

28 ottobre 2009

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