Prova di orchestra


Janiki Cingoli


Il vertice a tre tra Obama, Netanyahu e Abu Mazen, tenutosi a New York non è stato solo una photo opportunity. La stretta di mano tra i leader israeliano e palestinese ha messo fine ad una incomunicabilità che durava dalla vittoria elettorale di Netanyahu.


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Prova di orchestra

Il vertice a tre tra Obama, Netanyahu e Abu Mazen, tenutosi a New York non è stato solo una   photo opportunity. La stretta di mano tra i leader israeliano e palestinese ha messo fine ad una incomunicabilità che durava dalla vittoria elettorale di Netanyahu.

Ma l’incontro ha dato modo soprattutto ad Obama di esternare tutta la sua impazienza per il prolungato palleggio negoziale israelo-palestinese, che nelle scorse settimane ha costretto il suo Inviato Speciale George Mitchell ad una spoletta defatigante e senza risultato.

Il rifiuto palestinese di riaprire le trattative non era senza motivazioni: il congelamento degli insediamenti israeliani, inclusa la cosiddetta crescita naturale, era già previsto dalla Road Map, e poi era stato solennemente riconfermato alla Conferenza di Annapolis.

Ma di fatto Israele non aveva mai mantenuto gli impegni e durante tutto il 2008, dopo quella conferenza, mentre il leader palestinese si incontrava quasi settimanalmente con Olmert, l’aumento delle costruzioni nelle colonie era stato di oltre il 40%. Il nuovo governo, invece, pur rifiutando un congelamento totale, ha in concreto diminuito il ritmo edificatorio di circa il 34%.

Durante l’incontro il Obama ha fatto riferimento alla questione, sottolineando l’importanza della discussione in atto nell’esecutivo israeliano sulla possibilità di un periodo di sospensione di tali costruzioni, anche se, ha affermato, ora si tratta di tradurre tali discussioni nella realtà.

Il presidente ha così attenuato la sua richiesta di congelamento totale, contenuta con grande forza nel suo discorso tenuto al Cairo lo scorso giugno, spiazzando i palestinesi che di quella richiesta avevano fatto una pregiudiziale alla ripresa delle trattative. Ha inoltre elogiato i progressi fatti per assicurare la mobilità della popolazione in Cisgiordania.

Ha ugualmente fatto riferimento ai risultati ottenuti dai palestinesi nella lotta al terrorismo e sul tema dell’incitamento all’odio contro Israele, chiedendo loro di andare ancora avanti.

Ma soprattutto ha affermato che il negoziato non può ripartire dall’anno zero, che deve tener conto di tutto quanto si è detto e si è costruito a partire dagli accordi di Oslo del ’93, e deve affrontare tutte le questioni connesse al Final Status (senza rinviare quindi quelle più ardue, come Gerusalemme e i rifugiati). Questa può essere considerata una risposta indiretta alle richieste di Netanyahu, che aveva parlato della necessità di un nuovo approccio al negoziato, ed anche al l’ipotesi di accordi ad interim per uno stato palestinese provvisorio, rilanciata da Shimon Peres.

Su tale aspetto, la sua posizione è parsa più vicina a quella palestinese.

Nelle prossime settimane i contatti di Mitchell con le due delegazioni presenti a New York e tra le due delegazioni dovrebbero ripartire, sotto la supervisione della stessa Hillary Clinton, per arrivare poi a metà ottobre ad un qualche avvenimento ufficiale per la riapertura dei negoziati, già si parla di un possibile vertice a Sharm El-Sheikh.

Nella valutazione del vertice, occorre tener conto di una osservazione assai acuta fatta da Aluf Benn, sul quotidiano israeliano Ha’aretz: l’approccio di Obama è diverso da quello dei precedenti presidenti USA, da Clinton a Bush, che hanno iniziato ad occuparsi di Medio Oriente a fine mandato: egli è all’inizio, ha davanti i prossimi quattro anni e probabilmente sarà rieletto. Per lui il problema non è sottoscrivere un documento (non a caso anche in questo vertice non si è discusso su un possibile comunicato congiunto), è raggiungere l’obbiettivo in una ottica di medio termine, incamerando risultati successivi. Li ha già ottenuti, parzialmente, con Netanyahu, che è stato costretto a accettare la piattaforma due stati due popoli, pur tra mille limitazioni, ha rimosso molti dei blocchi stradali in Cisgiordania e ora è costretto a misurarsi con la questione degli insediamenti; li ha ottenuti in termini di sicurezza dai palestinesi, ed ora i due servizi di sicurezza israeliano e palestinese collaborano come mai prima; e sta cercando di ottenerli da alcuni stati arabi, in termini di passi concreti e intermedi in direzione del riconoscimento di Israele. In questa prospettiva, il vertice va considerato come una tappa, certo rilevante, ma non determinante.

Tuttavia, il disagio crescente per il caotico sviluppo dei contatti negoziali delle ultime settimane deve essere stato assai acuto, nel Presidente USA, se ha sentito il bisogno di convocare il vertice per esprimere la sua posizione e la sua determinazione ad andare avanti, ignorando tutti i rifiuti ricevuti dalle parti in causa, e la crescente confusione che si era venuta determinando.

Viene in mente il film di Fellini, “Prova di orchestra”, quando ogni musicista suona per conto suo, finché non arriva il suono del grande gong, e tutto rientra nell’ordine. Anche a New York il gong di Obama ha suonato, ma non è detto che il concerto cominci.

Fonte: www.cipmo.org

24 settembre 2009

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