Denunciare l’anomalia italiana è necessario, ma serve costruire una cultura alternativa
Norma Ferrara
Livio Pepino
"Assistiamo ormai da tempo ad un irrigidimento del sistema politico istituzionale nel nostro Paese, c’è una insofferenza sempre più marcata nei confronti di tutte le istituzioni di controllo e di garanzia". Così Livio Pepino – magistrato membro del Consiglio superiore della magistratura – apre la sua analisi sul sistema attuale dell’informazione e della democrazia in Italia nell’intervista rilasciata a Libera Informazione dopo gli ultimi episodi che porteranno in piazza il prossimo 19 settembre a Roma i cittadini per la libertà di stampa.
L’ennesimo attacco alla stampa da parte del premier e di questo Governo ha assunto le sembianze grottesche di una querela per diffamazione al giornale Repubblica per aver pubblicato dieci domande sul “caso Escort” . E’ solo l’ultimo episodio di una serie di “avvertimenti” alla stampa lanciati dal Governo che alterano il normale rapporto media – politica e società civile. Cosa sta accadendo in Italia?
In Italia c’è una insofferenza verso tutti gli organi di controllo e di garanzia: insofferenza verso la magistratura, la stampa, l’opposizione politica. In questo ultimo episodio di Repubblica, le reazioni più drastiche si oppongono proprio ad uno di questi poli: la stampa. Quando si accentra in mano il potere all’esecutivo accade che le opposizioni non diventano più il luogo della dialettica, l’opposizione sociale – sindacati o associazioni – diventano una sorta di avversario politico, la stampa infine è quindi chiamata a collaborare e non a controllare. Questo è un disegno pericoloso che pone a rischio l’assetto dell’intero sistema democratico.
Un atteggiamento globale che ha delle grosse anomalie in Italia e che silenzia l’opposizione?
Ci sono due aspetti nel nostro Paese, uno generale e uno politico. Il primo è questo procedere delle società occidentali sempre più verso una sorta di pensiero unico dominante che non tollera l’opposizione, netta, radicale. Il secondo è che in Italia abbiamo una ulteriore anomalia data dalla concentrazione nelle mani del Presidente del consiglio di una somma di poteri che sono separati solitamente nelle altre democrazie occidentali. A questo fattore si aggiunge un uso esibito di questa stessa concentrazione a differenza di altre volte, infatti c’è anche la rivendicazione ed un rapporto plebiscitario con il Paese.
Il sultanato – lo ha definito Giovanni Sartori in un suo recente libro. La presenza di questo sistema ha messo in evidenza opposizioni deboli. Perché per il caso Repubblica- premier c’è stata una reazione più forte dei media stranieri che non italiani?
Questo è proprio l’esempio dell’anomalia italiana. Questa concentrazione ha determinato grandi condizionamenti della stampa. Un condizionamento mediatico, su media commerciali e servizio pubblico, unitamente a quello politico può generare queste mancate reazioni, o reazioni deboli. A fronte delle intimidazioni cui fa riferimento lei infatti, il resto della stampa non ha reagito. Soppiantati negli anni gli anticorpi, di fronte a questi fatti la reazione è stata molto più modesta di quanto accade in altri Paesi di democrazie liberali. In Italia c’è un sistema dei media entrato in crisi anche a causa di qualche limite di tipo culturale e commerciale.
Che tipo di condizionamento, i media non danno alcune notizie?
Talvolta può accadere anche questo ma più di frequente non raccontano il contesto. Un esempio recente che mi è capitato di vedere su una rete del servizio pubblico. In merito alle dimissioni del direttore dell’Avvenire Boffo. La notizia in uno dei lanci è stata data senza spiegare il perché di queste dimissioni. Ora o si spiega la notizia o se se ne da un pezzo senza contestualizzarla, questa diventa incomprensibile ai più. E quindi equivale a non darla.
19 settembre ci sarà una manifestazione pubblica in piazza per protestare contro questo atteggiamento del Governo rispetto alla libertà di stampa. C’è ancora uno spazio per i cittadini ?
Credo che la possibilità ci sia ma soprattutto ci sia la necessità. Quale sarà l’esito dipenderà da una serie di fattori, ma è comunque l’unica strada praticabile. Credo che questa anomalia debba essere segnalata e soprattutto si debba costruire una cultura alternativa. Il 19 settembre deve diventare la data dalla quale si costruisce questa alternativa: che necessiterà del tempo, mobilitazione, fantasia, intelligenza politica ecc..
Magistratura e Governo e libertà di fare indagini. Lei ha minacciato dimissioni dal Csm, com’è la situazione in cui versa la magistratura questo momento?
La vicenda specifica è ancora irrisolta, ne sapremo di più a settembre e vedremo come si risolverà. Situazione della magistratura invece è assolutamente speculare a quella dell’informazione. Il nostro sistema della cultura della giurisdizione è fondato sul principio dell’autonomia e bisogna poter esserlo. Ormai invece l’indagine che tocca direttamente o lambisce il Presidente del Consiglio o la sua maggioranza viene considerata un attacco politico e quindi la si impedisce in vari modo. Lo si fa con iniziative pubbliche (attacchi alla magistratura) con le iniziative politiche (vedi leggi Ad personam) con interventi che limitano i poteri e l’indipendenza della magistratura. C’è una insofferenza personale del Presidente del Consiglio che però si innesta su una cultura politica della intolleranza al controllo – se ci fosse solo la prima sarebbe più facile uscire da questa situazione mentre invece innestandosi su quell’altra cultura produce miscela pericolosa per il funzionamento corretto per le istituzioni.
Il Ddl intercettazioni rientra in questa strategia?
Certamente si, nel senso che partendo da una situazione in cui la correzione o la razionalizzazione di alcuni aspetti della disciplina delle intercettazioni, si arriva a limitare fortemente un mezzo di indagine che si è rivelato per alcuni reati, prezioso o insostituibile. Non c’è dubbio che questo limiti e depotenzi la possibilità di controllo della giurisdizione.
E veniamo alla lotta alle mafie. Proprio il Ddl mette a rischio molte di indagini in questa direzione. Quella del Governo sembra una battaglia a due marce: da un lato gli arresti e la repressione, dall’altro il caso Fondi, il ddl e la carenza di risorse….
A me sembra che la disciplina delle intercettazioni sia abbastanza indicativo di questo. Si perpetua un po’ questa analisi che pone una sorta di differenza fra quella che è stata definita la mafia militare e quello che invece è il sistema di potere mafioso, legami politici ed economici. Sul primo aspetto credo sia ormai acquisito che una limitazione dei poteri della giurisdizione non sarebbe accettabile e non interessa alla maggioranza politica (sebbene il Ddl incida anche su questo versante, a reati di mafia prima di accertarli si parte sempre dai reati in se) il tema del futuro a maggior ragione sarà il problema dell’atteggiamento verso il sistema mafioso che controlla il territorio, il mercato, l’ economia anche se non spara direttamente che poi è quello che contraddistingue la mafia da altri sistemi criminali e su questo punto l’impegno del Governo è molto meno forte che non sul versante della mafia militare.
Fonte: Liberainformazione
8 settembre 2009