Giappone, Hatoyama goes green!
Junko Terao
Il nuovo leader giapponese brucia i tempi e a dieci giorni dall’insediamento dà il primo, atteso ma non scontato segnale di cambiamento: entro il 2020 via il 25% di emissioni di gas serra. Un target che lancia il paese del Sol levante alla conquista della scena internazionale. In vista di Copenhagen.
I festeggiamenti per la storica vittoria elettorale non sono ancora finiti, mancano dieci giorni al suo insediamento, ma Yukio Hatoyama, il nuovo leader alla guida del Giappone più scalcagnato dagli anni ottanta a questa parte, il primo atto da premier l’ha già messo a segno. Almeno sulla carta, il primo tanto atteso, ma tutt’altro che scontato, segnale di cambiamento lo regala durante un incontro sui cambiamenti climatici a Tokyo. E’ un nuovo abiziosissimo target per la riduzione dei gas serra: entro il 2020 il Giappone ridurrà le emissioni di CO2 del 25% rispetto ai livelli del 1990. Parola di Hatoyama. Un obbiettivo che rientra nelle raccomandazioni dell’Onu ai Paesi sviluppati – tra il 25 e il 40% in meno – , che supera il 20% dell’Unione Europea e punta a rilanciare l’immagine del Giappone sulla scena internazionale. Dopo la crisi economica, infatti, è l’emergenza clima il tema in testa alle agende dei leader mondiali. Ma, soprattutto, è il primo segno di stacco dal precedente governo di Taro Aso, che solo due mesi fa aveva annunciato un misero e deludente 8%. Davvero troppo poco per il quinto paese inquinatore del mondo. L’annuncio di Aso, accolto da molte critiche, era in perfetta linea con la china discendente del premier sul viale del tramonto. Ma la rinascita verde del Giappone è alle porte, sembra assicurare questa prima mossa del leader democratico. Una buona occasione per rifarsi il trucco per il Paese del Sol levante, che aveva tenuto a battesimo il protocollo di Kyoto, in scadenza nel 2012, anche in vista del summit Onu sul clima in programma a dicembre a Copenhagen: per la discussione sul dopo-Kyoto, Hatoyama si presenterà come il leader del più virtuoso tra i paesi industrializzati. Quello che dà il buon esempio al resto del mondo. Impensabile fino a due settimane fa. Ma siccome tra il dire e il fare, si sa, c’è di mezzo l’oceano, e di qui a Copenhagen mancano ancora tre mesi, se Hatoyama riuscirà a tenere a freno le proteste delle grandi industrie che già storcono il naso è tutto da vedere. “Di base accogliamo positivamente l’annuncio del nuovo target – ha replicato Masamitsu Sakurai, il leader della lobby Keizai Doyoukai, che riunisce dirigenti di un’ottantina di grandi aziende – ma vogliamo sapere con quali politiche e con quali misure il governo intenderà portare arrivare al 25% di tagli ai gas serra”. Fissare un obbiettivo così ambizioso da parte di un paese industrializzato è fondamentale per il gioco del tira e molla con i paesi emergenti che a cui si assisterà anche a Copenhagen. La partita è come sempre principalmente con Cina e India, i due giganti le cui economie sono cresciute in questi anni a scapito dell’emergenza ambientale, a cui il consesso Onu sui cambiamenti climatici cerca di strappare degli impegni maggiorni in fatto di tagli dei gas serra. Ma la risposta, più o meno giustificata, finora è sempre stata la stessa: finchè i Paesi industrializzati, principali responsabili dell’inquinamento atmosferico e dello stato attuale delle cose, non faranno di più, perchè dovremmo impegnarci noi? In effetti, Stati Uniti e Australia sono i Paesi ad aver stabilito i target meno ambiziosi finora. Obama si è impegnato a riportare il livello di emissioni a quello del 1990 entro il 2020, mentre l’Australia conta di tagliare del 5-15% i valori del 2000. A patto, però, che dagli governi arrivino impegni consistenti. Un braccio di ferro in cui il 25% promesso da Hatoyama potrebbe funzionare da traino per i più timidi. “Credo che anche i paesi in via di sviluppo debbano fare uno sforzo per ridurre i gas serra, perchè l’impegno che la sfida dei cambiamenti climatici richiede è globale”, ha dichiarato il neo-eletto premier giapponese riferendosi chiaramente ai due vicini asiatici. Sul come intende fare a tradurre in pratica le belle parole, il governo risponde con un piano, ancora tutto da vedere nei dettagli, che comprende l’emission trading, cioè la compravendita di quote di emissione di CO2 tra i diversi Stati, il rinnovo in senso eco-friendly delle abitazioni, sussidi per i pannelli solari e l’introduzione di tecnologia a basso consumo nelle automobili. Ma la nuova veste green del Giappone non segna solo la svolta rispetto all’ormai vecchio Giappone dei liberaldemocratici, servirà anche a dare una spinta alla candidatura di Tokyo come ospite delle Olimpiadi del 2016. Da tempo è in corso il restyling verde di intere zone della capitale per accogliere gli atleti. Il verdetto è atteso per ottobre e se Hatoyama riuscirà a portare a casa i Giochi, beh, sarà en plein.
Fonte: Lettera22 e il Riformista
8 settembre 2009