Banco di prova per la nuova strategia di Obama


Gabriel Bertinetto


Mentre il mondo attende con il fiato sospeso di conoscere l’esito del voto in Afghanistan, riesplode la violenza a Baghdad.


CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+
Banco di prova per la nuova strategia di Obama

È come se l’opinione pubblica internazionale, assopitasi nel sogno di un Iraq in via di irreversibile pacificazione, si risvegliasse di soprassalto, scossa dal clamore delle bombe e dalla visione di decine e decine di cadaveri. L’orripilante film di quella che era la vita quotidiana a Baghdad un anno o due fa viene riproposto d’improvviso ai nostri occhi con un titolo inquietante: contrordine, la guerra continua. Barack Obama stesso, pochi giorni fa dichiarava di prevedere un aumento dell’«insensata» violenza fra il Tigri e l’Eufrate. E ciò nonostante si diceva certo che gli Usa rispetteranno il calendario del ritiro, che dopo la consegna delle aree urbane al controllo delle forze di sicurezza locali in giugno, prevede una serie di tappe successive sino al richiamo delle ultime truppe alla fine del 2011.

In quelle stesse ore però il comandante del contingente americano, generale Odierno, annunciava lo spostamento di militari nel nord, per fronteggiare l’esplosione di violenza in quella che sino a pochi mesi fa era considerata un’isola felice e pacifica, il Kurdistan, nel mare in tempesta del conflitto iracheno. I semi del caos civile germogliano dove non avevano attecchito sinora, e intanto, come dimostrano gli attentati di ieri nella capitale, tornano impetuosamente a crescere là dove ci si era illusi di averli sradicati. La pacificazione e il graduale disimpegno Usa dall’Iraq sono un pilastro della strategia disegnata dal nuovo capo della Casa Bianca per affrontare una serie di crisi regionali ereditate dal predecessore Bush, irrisolte e in condizioni di pericoloso aggravamento. Se si incrina quella colonna portante del progetto politico, diplomatico e militare di Obama, vacilla l’intero edificio. A cominciare dall’Afghanistan, dove Washington ha immesso migliaia di forze aggiuntive, prelevandole proprio dall’Iraq.

Il problema è che il nuovo corso afghano avviato da Obama d’intesa con gli altri paesi Nato, proprio in questa fase è sottoposto ad una drammatica verifica di fattibilità. Il successo delle elezioni sarà misurato dalle dimensioni di tre fenomeni: astensionismo, boicottaggio terroristico talebano, brogli. Più saranno alti gli indici della mancata affluenza ai seggi, degli attacchi armati e delle frodi elettorali, più aumenterà la sfiducia dei cittadini nello Stato afghano e nel ruolo degli alleati internazionali. La soluzione proposta da Obama alla crisi afghana punta invece proprio su un recupero di consenso e di unità nazionale. Per arrivare a quel risultato ha modificato drasticamente l’approccio precedentemente seguito dall’amministrazione Repubblicana.

Sul terreno militare questo ha significato meno raid aerei, più operazioni terrestri, e creazione di presidi permanenti nelle zone a maggiore infiltrazione talebana. Con Bush invece i bombardamenti dell’aviazione erano la norma, i rischi per i soldati americani erano ridotti, e frequenti le stragi di civili innocenti. Sul terreno politico il new deal obamiano prevede un sostegno più solido alla ricostruzione materiale del paese ed un dialogo con la società afghana nelle sue articolazioni tradizionali di clan e di tribù e non solo con i dirigenti del governo centrale. Tutto potrebbe essere compromesso in maniera preoccupante dall’eventuale fallimento della prova elettorale. L’opinione pubblica americana sarebbe meno incentivata ad accettare il più alto tributo di vite umane che la campagna degli ultimi mesi sta provocando nelle fila dell’esercito a stelle e strisce. La popolazione afghana ed i leader delle varie comunità locali di villaggio o di quartiere avrebbero meno motivi per sottrarsi all’influenza delle formazioni ribelli ed accogliere la protezione delle forze internazionali. In altre parole, le elezioni e gli sviluppi che seguiranno nelle prossime settimane, sono la prima cartina di tornasole per capire se l’Occidente e gli Usa stanno perdendo la partita in Afghanistan o possono ancora puntare ad un recupero.

Fonte: unita.it
20 Agosto 2009

CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+

Lascia un commento