Italiani nei teatri di guerra
Salvo Secondini
Trentatré missioni in ventuno paesi. Quanti sono e cosa fanno i militari del Belpaese nel mondo. I numeri fanno dell’Italia, in termini assoluti, l’ottavo Paese fornitore di truppe alle Nazioni Unite per operazioni di peacekeeping.
Oltre 2400 soldati sono di stanza nei Balcani, 2470 nel Libano che chiese l'intervento internazionale dopo la guerra con Israele, 2800 (che aumenteranno di altre 500 unità) si trovano in Afghanistan, in parte a Kabul ma per la stragrande maggioranza nella provincia occidentale di Herat. Ma soldati italiani sono al lavoro anche in anche Sudan, Malta, Marocco. A volte sono piccolissimi contingenti di sole cinque persone, ma in alcune missioni internazionali i nostri soldati giocano spesso un ruolo chiave come, appunto, in Libano.
Sono circa 9mila i soldati italiani impegnati in 33 missioni in 21 paesi sotto le bandiere dell'Onu, della Nato o dell'Unione europea. Numeri che fanno dell'Italia , in termini assoluti, l’ottavo Paese fornitore di truppe alle Nazioni Unite per operazioni di peacekeeping (Roma è anche il sesto contributore al bilancio ordinario del Palazzo di Vetro), mentre, per la stessa esigenza, il Belpaese è la prima nazione nell’ambito dell’Unione Europea. Una vocazione internazionale che ha fatto crescere il peso politico del nostro paese con un impegno che in termini di bilancio è piuttosto pesante: solo la missione in Afghanistan (Isaf) è costata al contribuente in sei mesi 242.368.418 euro e quella in Libano (Unifil) 192.102.649 (dal primo gennaio al 30 giugno 2009). Con le altre si arriva a cifre che fanno sempre sobbalzare la Finanziaria e che richiedono un voto parlamentare semestrale.
Le aree più difficili sono ovviamente quelle dell'Afghanistan e del Libano. Ma mentre la seconda è un'operazione di peacekeeping sotto egida Onu – preservare la pace – la seconda è una vera e propria guerra in aree ostili e pericolose. In Afghanistan i militari italiani hanno il comando della Regione Ovest, ossia quella al confine con l'Iran e con capoluogo Herat. Controllano di fatto quattro province (Herat, Ghor, Badghis e Farah, quest'ultima la più pericolosa). L'intensificarsi degli incidenti ha già portato a 14 il numero delle vittime, l'ultima delle quali è stato il caporal maggiore Alessandro Di Lisi, ucciso a metà luglio proprio nell'Ovest del paese. I mesi a venire saranno, in Afghanistan, i più difficili proprio in vista delle elezioni del 20 agosto anche se, proprio da un'area sotto controllo italiano, arriva una buona notizia: una tregua tra talebani e autorità della provincia Badghis, la prima mai raggiunta e mirata proprio a far tenere le presidenziali in sicurezza.
Le nostre missioni all'estero scatenano ciclicamente critiche e dibattiti parlamentari al calor bianco, come in questi giorni, ma oltre alle polemiche politiche non mancano quelle sull'utilizzo dei fondi: un dossier di Link 2007 (un consorzio di Ong che opera all'estero) ha denunciato come nel 2009 si sia verificato un drastico calo del finanziamento della cooperazione allo sviluppo, a fronte di un sostanziale incremento dei fondi dedicati all'invio dei militari all'estero. Nel quadriennio 2006-2009 – dice il dossier – i fondi stanziati per il personale delle missioni militari sono stati 4.346 milioni di euro, mentre le risorse per la cooperazione sono state 2.402 milioni. In particolare per l’Afghanistan, nell’ultimo quadriennio sono stati destinati 248 milioni per la cooperazione contro 1.434 per il solo costo del personale militare.
Fonte: Lettera22
28 luglio 2009