Mai più "Afpak"
Emanuele Giordana - Lettera22
L’acronimo AfPak, ad indicare l’intenzione di Obama di considerare i due paesi in un’unica strategia, non si deve usare. Nella foto a sinistra l’esercizio geopolitico dei neocon sul Pakistan pubblicata nel novembre 2008 sul New York Times.
Contrordine diplomatico. L’acronimo AfPak, che fece la sua prima apparizione tra marzo e aprile scorso ad indicare l’intenzione di Obama di considerare i due paesi in un’unica strategia, non si deve usare. Anzi non si usa già più. I giornali americani lo hanno abbandonato e quelli pachistani, cui non è mai piaciuto, gli preferiscono da sempre “Pak-Afghan”, se devono parlare delle due aree o della frontiera. Non si è potuto usare nemmeno al summit di Trieste, organizzato dalla Farnesina alla vigilia del G8 dell’Aquila, dove il termine campeggiava in tutti i documenti ufficiali. I funzionari hanno dovuto correre ai ripari per evitare un incidente diplomatico nell’incontro che avrebbe visto partecipare i ministri degli Esteri di Stati Uniti (poi la Clinton restò a casa infortunata) ma soprattutto di Pakistan e Afghanistan, Qureshi e Spanta. La mossa riparatrice andò a buon fine e si evitò l’incidente diplomatico per un soffio: nella foto finale, Frattini poté farsi riprendere con ai lati i due capi della diplomazia della regione.
L’ordine di scuderia era arrivato dagli americani a cui i pachistani avevano esposte le ragioni della loro antipatia per un termine che, mettendo assieme i due paesi, evoca brutti incubi. Il penultimo dei quali risale a novembre. L’ultimo è solo di qualche giorno fa.
L’incubo di novembre è un esercizio di geopolitica grafica applicato a una mappa che girava negli ambienti neocon, sempre creativi nel ridisegnare il mondo: mostrava un Pakistan sensibilmente ridotto a una sorta di mezzaluna incastrata tra India e Afghanistan, che si sarebbe mangiato le aree tribali mentre il Sudovest sarebbe diventato un “Free Belucistan”, da poter meglio controllare. Esercizi appunto. Ma abbastanza da innervosire Islamabad per quella che vedevano – come spiegava il New York Times citando una fonte anonima – “una collaborazione tra India e Afghanistan per distruggere il Pakistan”. Vecchie paranoie? Sicuramente, ma che devono essere riemerse anche in giugno, quando l’ambientalista radicale Hazel Henderson (“Ethical Markets: Growing The Green Economy”) ha resuscitato in un articolo il vecchio fantasma del Pashtunistan (uno stato a cavallo di Afghanistan e Pakistan che comprenda le due aree etnicamente omogenee). Infine l’ultima questione, oggetto anche dei recenti colloqui a Islamabad dell’inviato di Obama Richard Holbrooke. I pachistani non sono solo preoccupati della cosiddetta “guerra dei droni” con cui, dall’Afghanistan, gli americani colpiscono le supposte basi qaediste nelle aree tribali pachistane senza star troppo attenti alle vittime civili. Islamabad teme che l’offensiva americana in corso nell’Helmand possa spingere i talebani a costruire basi più pesanti nelle retrovie del Belucistan, la provincia sudoccidentale pachistana già a rischio per fermenti secessionisti.
Per tener buona Islamabad Holbrooke non si è limitato a cancellare l’acronimo AfPak. Ha anche portato in Pakistan promesse di nuovi fondi: 165 milioni di dollari per gli sfollati della valle dello Swat. E oltre all’assistenza per i profughi interni Holbrooke ha messo sul piatto altri 45 milioni che per la ricostruzione nelle aree sconvolte dalla recente guerra nelle zone a Nord della regione tribale: ponti, strade, scuole utilizzando soprattutto manodopera locale.
Ma se ha allargato i cordoni della borsa e ceduto sull’AfPak, Holbrooke ha messo in guardia Islamabad: Pakistan e Afghanistan restano i due interlocutori privilegiati ma non si può fare finta che l’India non esista e senza la sua collaborazione non si andrebbe lontani. Anche se questo non vuol dire metter mano alle mappe.
La nascita dell’mappa della paura
Il rischio di esportare il conflitto nel provocazione di Hazel Henderson
Fonte: Lettera22
26 luglio 2009