Attacco kamikaze scuote Giacarta
Fernando Amaral
Due esplosioni quasi simultanee in due hotel di lusso nel cuore della capitale indonesiana precipitano nuovamente il paese nell’incubo del terrore. Nove morti e sessanta feriti il bilancio.
Marriott hotel di Giacarta, stanza 1808. Da lì è partito il commando di estremisti suicidi che ha seminato terrore e morte nella capitale indonesiana. Ieri Giacarta si è svegliata nel bel mezzo di un incubo. Due ordigni sono esplosi alle otto del mattino (le tre di notte in Italia) in due alberghi di lusso, nel cuore finanziario della città: il Marriott hotel, già colpito da un’autobomba nel 2003, e il Ritz-Carlton, entrambi molto frequentati da uomini d'affari di tutto il mondo e considerati tra i più sicuri della capitale. I morti accertati sono nove (incluso un kamikaze), mente i feriti sono oltre 60, fra i quali 18 stranieri: americani, canadesi, britannici, australiani, olandesi, indiani, sudcoreani e norvegesi. Il dipartimento di Stato Usa ha reso noto che 8 dei feriti sono americani, mentre il presidente Brak Obama ha condannato fermamente i “rivoltosi”, offrendo l'aiuto degli Usa al governo indonesiano.
Testimoni oculari hanno riferito che le esplosioni si sono verificate a pochi minuti di distanza, entrambe all'interno degli hotel, a giudicare dal modo in cui sono esplosi i vetri delle finestre e dalla devastazione che mostra la Tv indonesiana. Giunta sul luogo, il ministro indonesiano per la sicurezza, Widodo Adi Sucipto, ha detto che si trattava di “bombe ad alto potenziale esplosivo”, capaci di sventrare un edificio.
Per aggirare le severissime misure di sicurezza, sembra che gli attentatori abbiano scelto l’originale trovata di registrarsi come ospiti paganti, operando appunto dalla stanza 1808. Lì si concentrano le indagini e lì si trova la chiave per comperendere, in assenza di rivendicazioni, chi c’è dietro la violenza.
“Si tratta di un atto crudele e disumano”, ha proclamato il neoeletto presidente indonesiano, Susilo Bambang Yudhoyono, assicurando che i terroristi saranno catturati e notando con disappunto che l’atto terroristico potrebbe avere un forte impatto negativo su economia, commercio e turismo dell’Indonesia. Dopo gli attacchi, infatti, i mercati finanziari indonesiani sono all’improvviso crollati: secondo gli operatori economici, l’episodio potrebbe cancellare all'improvviso i considerevoli progressi, in fatto di stabilità e democrazia, vantati negli ultimi anni dal governo indonesiano, che avevano diffuso negli investitori un clima di maggiore fiducia verso la più grande economia dell'Asia sudorientale.
Eppure la tornata elettorale che solo dieci giorni fa aveva visto Yudhoyono trionfare con la maggioranza assoluta dei consensi popolari – come d’altronde quella delle elezioni generali di aprile – era stata pacifica e l’ottimismo la faceva da padrone nei palazzi delle istituzioni politiche indonesiane. Il terrorismo, specie quello di matrice islamica, sembrava indebolito e la rete della Jemaah Islamiah (JI), ritenuta responsabile degli attentati di Bali e del Marriott negli anni scorsi, era stata fortemente ridimensionata. Secondo Sydeny Jones, analista dell’International Crisis Group, sebbene alcuni leader della JI, come Noordin Mohammed Top, siano ancora ricercati, il movimento islamista legato ad Al Qaeda non possiede più la forza e l’impatto di qualche anno fa. Alcune cellule di militanti potrebbero ancora essere “dormienti” e dunque pronte ad attivarsi, come afferma un rapporto sulla sicurezza dell'Australian Strategic Policy Institute diffuso ieri, giudicando possibili nuovi attacchi della JI, ma le indagini e i sospetti per gli attentatai di ieri seguono anche altre possibili piste. Lo stesso Yudhoyono non ha esitatao a denunciare che gli attacchi rientrano in una “campagna sovversiva per destabilizzare il paese” che, secondo l'intelligence, includerebbe anche piani per assassinare lo stesso capo di stato.
Tutto ruota intorno al gruppo che ha prenotato e usato la stanza 1808, utilizzata come base logistica, dove è ststao ritrovato materiale per confezionare esplosivi e un altro ordigno inesploso. Militanti irriducibili ma isolati? Criminali prezzolati a servizio di qualche vecchia lobby, che non gradisce il potere del presidente in carica? Apparati deviati delle forze armate pronti al golpe? Molti interrogativi e poche certezze sulle bombe di Giacarta.
Nel paese musulmano più popoloso al mondo (240 milioni di abitanti) il governo è stato elogiato negli ultimi anni per la sua capacità di contenere l’islamismo militante, uscito indebolito, fra l’altro, dalle ultime tornate elettorali. Potrebbe essere, dunque, un colpo di coda di gruppi islamici radicali. Ma anche il gesto isolato di fazioni sovversive, nascoste nelle pieghe della quantomai variegata società indonesiana.
Fonte: Lettera22 e il Manifesto
18 luglio 2009