A qualcuno fa ancora paura


Roberto Morrione


A Palermo in tanti tengono in pugno l’agenda rossa sfilando nel cuore della città nel nome del magistrato assassinato 17 anni fa con i cinque agenti di scorta, è insieme un simbolo e una richiesta di verità.


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A qualcuno fa ancora paura

Paolo Borsellino, a qualcuno, fa ancora paura. Il messaggio lanciato da quell’agenda rossa che in tanti terranno in pugno il 18 e 19 Luglio, sfilando nel cuore di Palermo nel nome del magistrato assassinato 17 anni fa con i cinque agenti di scorta, è insieme un simbolo e una richiesta di verità. Quell’agenda rossa, sulla quale Paolo Borsellino annotava giorno per giorno appuntamenti, riflessioni, nomi, nella sua spasmodica corsa contro il tempo e la morte, che sentiva vicina,  per riuscire a scoprire gli autori del massacro di Capaci, ma soprattutto se e chi a ogni livello, anche esterno a Cosa Nostra, aveva voluto distruggere il genio investigativo, l’esperienza del suo amico Giovanni, insieme con l’eredità pur “normalizzata” del pool antimafia di Palermo. Quell’agenda da cui non si separava mai, che aveva con sé in una borsa rimasta intatta nella devastante esplosione in Via D’Amelio, fotografata nelle mani di un ufficiale  dei carabinieri e  poi misteriosamente svanita, senza che la Giustizia abbia fatto luce sul dove e perché sia scomparsa, in quale cassaforte sia finita.
Ora le procure di Caltanissetta e di Palermo hanno riaperto ufficialmente le indagini su quelle stragi,  ipotizzando ciò che in ben tre processi si era intravisto, cioè il coinvolgimento diretto negli attentati di uomini degli apparati di sicurezza dello Stato, con moventi ancora non definiti, ma risalenti ad ambienti esterni e con motivazioni diverse da quelle che mossero Riina e i capi di Cosa Nostra. La condanna definitiva all’ergastolo di organizzatori ed esecutori non ha messo dunque la parola “fine” alle inchieste giudiziarie, che si saldano invece con le inchieste in corso sulla trattativa che apparati dello Stato aprirono con i capi di Cosa Nostra, confermata ora da Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco di Palermo che di quella trattativa fu  tramite e testimone.
Chi ha in mano quell’agenda, come gli appunti informatici di Giovanni Falcone mai venuti interamente alla luce, ora ha un motivo in più per preoccuparsi, ben oltre l’instancabile  impegno di denuncia e di richiesta della verità da parte della famiglia Borsellino, delle associazioni antimafia, di magistrati in prima linea che condivisero la battaglia di Falcone e Borsellino.
Nonostante l’indifferenza dei media, stampati e televisivi, che per anni, come peraltro sta di nuovo avvenendo, hanno distrattamente acceso la luce sui sanguinosi eventi siciliani, che hanno segnato la storia della Repubblica e determinato almeno in parte l’attuale quadro politico e civile,  solo in occasione delle commemorazioni , senza scavare sui tanti punti oscuri delle indagini. Che giornali e TG abbiano lasciato nel silenzio e nell’indifferenza l’opinione pubblica, preferendo la facile alternativa dei delitti di cronaca nera, su una scia emozionale e consumistica che ha riempito i televisori e l’immaginario degli italiani da Cogne a Erba, a Garlasco, a Perugia, fino agli stupri di modello “etnico” che tanto hanno pesato nel dibattito sulla sicurezza e sull’opinione pubblica, è una vergogna che peserà a lungo sul Paese, ma anche sulla dignità professionale e sulla formazione etica del giornalismo italiano…
Ora è arrivato il momento di andare fino in fondo, di riprendere i tanti fili finora mai seguiti, le contraddizioni e le coperture nelle indagini sulle stragi e sul patto scellerato che, almeno nella interpretazione dei “corleonesi”,  doveva essere realizzato con lo Stato o chi diceva di rappresentarlo. Vicende in cui  compare l’ombra, ma anche la fisica presenza dei Servizi. A nome di chi agivano quegli uomini, che interessi coprivano, quali erano i loro obiettivi? Quale il loro vero ruolo nelle stragi di Capaci e di Via D’Amelio, come in quelle successive che insanguinarono Roma, Firenze e Milano?
Rai News 24, che dirigevo, cercò nel 2000 di fare il proprio dovere e quello del Servizio Pubblico, trasmettendo in splendida (e aziendalmente forzata) solitudine l’ultima intervista televisiva di Paolo Borsellino. Due giorni dopo di quella intervista Giovanni Falcone, la moglie e la sua scorta saltarono in aria a Capaci e due mesi dopo, con una incredibile e tuttora inspiegabile accelerazione, fu la volta di Paolo Borsellino. Quella cassetta, che ci era stata data da Fiammetta, figlia di Paolo Borsellino, è stata vista e discussa nei processi sulle stragi. Il suo contenuto è dunque di straordinario interesse giudiziario, giornalistico e umano, oggi anzi ancora più attuale, ma la Rai non l’ha più trasmessa. Non è l’ora che il Servizio Pubblico ci ripensi?

Fonte: Liberainformazione e Articolo21

19 luglio 2009

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