Gli scheletri del bushismo


Vittorio Zucconi


Bush addio, torna la "Cia buona" la missione impossibile di Obama. Il presidente costretto ad alzare il tiro contro Langley. A ogni crisi risorge il falso mito delle spie "sporche" da rimpiazzare con quelle "pulite". La Casa Bianca ha bisogno dei repubblicani per varare le riforme più urgenti.


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Gli scheletri del bushismo

Sta in una fossa comune scavata nelle valli dell’Afghanistan, dove i corpi di almeno mille Taliban forse già morti furono buttati sotto gli occhi della Cia, quel passato che Barack Obama aveva sperato di tenere sepolto. Si era illuso di tenere gli scheletri del bushismo, delle esecuzioni di massa, delle torture, della quotidiana sovversione della legge nel nome della sicurezza nazionale, rinchiusi nell’armadio, per creare una "Cia buona" in luogo di quella "cattiva" intossicata dai predecessori, per «poter guardare avanti e non all’indietro».
Ma gli otto anni delle Bush & Cheney follies hanno lasciato troppa sporcizia nelle stalle d’America perché possa andare avanti senza almeno un tentativo di bonificare il recinto degli spooks, degli spioni.
Come sempre nei momenti in cui l’America si pente di sé stessa, è la Central Intelligence Agency il capro da offrire in sacrificio a un pubblico che nel panico le chiede di essere onnisciente e feroce. E quando la paura si attenua, si pente di averlo sguinzagliato. Avvenne così alla metà degli anni ‘70, quando la vergogna del Watergate produsse la Commissione d’inchiesta parlamentare Church e la rivelazione degli attentati della Cia contro leader stranieri, da Fidel Castro al vietnamita Ngo Din Diem, in seguito proibiti da Gerald Ford. Allora era stato il panico "rosso" a togliere il guinzaglio alla Cia e alle sue black op, alle sue operazioni clandestine. Nel 2001, dopo l’11 settembre, è stato il terrore del terrore a spingere George Bush, la sua anima nera Cheney, i loro docili giuristi e i direttori della company, della agenzia di spionaggio, a muoversi spasmodicamente per contrastare un nemico che non conoscevano.
Il caso del massacro dei Taliban, denunciato per anni dall’associazione dei Medici per i Diritti Umani e raccolto anche dal comandante generale delle operazione, Tommy Franks, che chiese un’inchiesta prima di dimettersi in fretta, è soltanto quello più raccapricciante, nella finzione di una grandiosa rivolta popolare contro i Taliban che fu sempre abilmente pilotata dalla Cia, di fronte a un Pentagono recalcitrante a impegnarsi in Afghanistan. Ma gli scheletri che stanno riaffiorando dagli armadi di Washington sono, politicamente e costituzionalmente, anche più paurosi.
Esce il Programma Speciale di intercettazioni telefoniche fatte a strappi, e con risultati nulli, senza neppure la formale approvazione dei giudici, e soprattutto senza comunicazione al Parlamento, come la legge istitutiva della Cia scritta nel 1947 vorrebbe. Sono le torture, ormai riconosciute come tali, a rappresentare possibili crimini e a spingere il segretario alla Giustizia, Eric Holder, a preparare uno special prosecutor, un magistrato straordinario, per frugare nelle stalle di Bush e Cheney.
Il nuovo direttore della Cia, Leon Panetta, da mesi ormai sta vuotando il sacco davanti alle commissioni parlamentari di sorveglianza, a porte chiuse, mettendo in imbarazzo anche la stessa speaker, la presidente della Camera Nancy Pelosi, che ammette, nega, poi ammette e poi nega, di essere stata sempre informata delle «tecniche speciali» di interrogatorio. Anche per questo Obama avrebbe preferito un cambio di stagione, una "nuova Cia", senza radere al suolo quella vecchia e travolgere alleati come la Pelosi nelle macerie. Lo avrebbe voluto per non stroncare il morale dei 20 mila, almeno, uomini e donne che lavorano nel palazzo di Langley, in Virginia, e nel mondo, per non dover ricostruire da zero quei servizi di intelligence come accadde ai suoi predecessori, dopo le grandi purghe post- Watergate.
Non ci sta riuscendo, per la gioia dell’elettorato più liberal che esige la propria libbra di carne e naturalmente la vuole dalla esecrata Cia, e per la costernazione della burocrazia spionistica che già dovette subire il crollo di motivazione e di reclutamento dopo la fine della Guerra Fredda. Quello di una "Cia pulita" che sostituisca la "Cia sporca" è un sogno, un mito ricorrente e alimentato dalla saggistica e dalla fiction che alternativamente descrivono l’agenzia come un colosso sinistro e onnipotente oppure come un ministero di inetti burocrati incapaci di scovare anche le talpe interne. Tutti preferiscono dimenticare che la realtà, dietro la letteratura e il cinema, è quella di un ministero di statali, nel quale i capi, come i gregari, devono adeguarsi docilmente al clima politico portato dai padroni di turno. E sfornare i prodotti che il padrone richiede.
Lo sa perfettamente Obama, come lo sa Leon Panetta, vecchio navigatore delle acque di Washington. Tutti e due sanno che dalle fosse comuni, dalle violazioni costituzionali come Guantanamo, dai rapporti massaggiati per dare alla Casa Bianca notizie "quasi vere" sulle armi di Saddam, dagli ordini per dare la caccia e uccidere i sospetti leader di al Qaeda, ogni inchiesta arriverà inesorabilmente ai burattinai, a Bush e a Cheney. Una certezza che spiega la furia della minoranza repubblicana, che sente l’odore di un gigantesco processo politico al passato, nel quale le malefatte della Cia sarebbero soltanto la chiave.
Suggerimenti di commissione per la «verità e la riconcliliazione nazionale», alla maniera del Sudafrica dopo l’apartheid, non hanno speranza. Ma Obama ha bisogno anche dell’opposizione, almeno della sua tacita complicità, per spingere il progetto al quale ha affidato il successo o il fallimento della propria presidenza, la riforma dell’iniquo e inefficiente sistema sanitario. Vorrebbe che i morti seppellissero i morti, per occuparsi meglio dei vivi, ma gli otto anni di Bush tornano a perseguitarlo. Ha ammesso, ormai, che non potrà evitare il confronto con la sporcizia lasciata nelle stalle della Cia. Sapendo che in essa potrebbe morire il progetto di una nuova America, troppo occupata da quella vecchia.

Fonte: la Repubblica

14 luglio 2009

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