Colpo di Stato in Honduras. Zelaya: mi hanno sequestrato
Rachele Gonnelli
Prelevato «in pigiama» dai militari golpisti nella notte di Tegucigalpa, il presidente dell’Honduras Zelaya si trova da ieri in Costa Rica. E grida: «Tornerò presto». La Ue ne chiede il rilascio. Obama preoccupato.
Un «golpe di troglotidi». Così il presidente venezuelano Hugo Chavez ha definito ciò che è successo ieri in Honduras, il piccolo e poverissimo paese del Centroamerica che di recente si era legato al carro di Chavez. Il presidente honduregno Manuel Zelaya è da ieri in Costa Rica dopo il secondo tentativo di arresto da parte dei militari in tre giorni. I soldati al comando del generale Romeo Vasquez, destituito ma non rimpiazzato dal presidente la settimana scorsa, hanno accerchiato la residenza presidenziale di Tegucigalpa poco prima dell’alba. La Corte suprema ha fatto sapere di aver chiesto ai militari di intervenire contro Zelaya che voleva essere rieletto a tutti i costi capo di Stato. Il figlio del presidente, Hector, che lo ha raggiunto al telefono, ha avvertito: «Papà è fuori dal Paese». Nel vicino Costa Rica, appunto. Inizialmente sembrava si fosse rifugiato là in attesa di un chiarimento della situazione interna. Poi è stato lui stesso a raccontare, ai microfoni dell’emittente venezuelana Telesur, che invece è stato prelevato a forza, «dopo una battaglia senza feriti di mezz’ora con i miei uomini della guardia d’onore», caricato su un aereo e portato oltre confine «sotto sequestro». Rapito «in pigiama» prima del voto referendario con cui aveva chiesto agli elettori di permettere – «non a me, il mio governo termina il 27 gennaio prossimo» – un secondo mandato presidenziale.
Zelaya, proprio alla vigilia del referendum – o meglio del nuovo tentativo di colpo di stato che lo ha annullato – ha rilasciato una lunga intervista a El Pais in cui faceva intendere di non essere più affatto sicuro del sostegno degli Stati Uniti. Appoggio che lui stesso definiva essenziale. Raccontando di essersi salvato dal primo tentativo di deporlo, venerdì scorso, grazie a una «telefonata chiave» proveniente dall’ambasciata Usa. E poi? L’appoggio era venuto a mancare? La risposta non era chiara.
Secondo il quotidiano messicano El Financiero ad esempio sarebbe stato proprio il recente appoggio del presidente honduregno all’Alleanza bolivariana – in sigla Alba – di Hugo Chavez a metterlo nei guai. S’intende quel patto di interscambio tra Paesi governanti dal centrosinistra in America Latina che si pone come alternativa al trattato firmato con l’ex presidente Bush che faceva ancora dell’intero continente il giardino di casa degli Usa. Zelaya, nato come politico liberale nel 2006, si era convertito al trattato «chavezista» solo l’anno scorso.
I veleni
Da allora all’interno del suo stesso governo sono iniziati a circolare veleni, culminati con la mozione presentata al Congresso dal democristiano Roamon Velasquez Naser di destituirlo per «inettitudine al governo» e avviare accertamenti sulla sua salute mentale. Il presidente Barack Obama si è detto invece «molto preoccupato» della crisi in Honduras. Mentre l’Unione europea chiedeva «l’urgente rilascio» di Zelaya. Chavez è furioso ed è pronto a intervenire.
Fonte: L'Unità
29 giugno 2009