Ripensare l’educare tra scienza e tecnologia
Elisabetta Norzi
Si è concluso a Viterbo il 46° convegno di Cem Mondialità, “Umano, disumano, post-umano. Corpo a corpo nell’educazione”. Brunetto Salvarani (direttore di Cem) spiega quali temi sono stati affrontati e quali le sfide per la pedagogia del futuro.
Se la scienza e la tecnica stanno portando l'uomo oltre l'uomo, nell'era del post-umano, come si deve adattare la pedagogia a questi cambiamenti? Ne hanno discusso un filosofo, Mauro Ceruti, un sociologo, Alberto Abruzzese, e un teologo, Carmine Di Sante, in occasione del convegno annuale del Cem Mondialità, arrivato alla sua 46° edizione, "Umano, disumano, post-umano. Corpo a corpo nell’educazione", che si è concluso il 30 agosto a Viterbo. Brunetto Salvarani, direttore di Cem Mondialità, spiega le questioni principali che sono state affrontate.
Di che cosa si è discusso al convegno di quest'anno?
Il tema principale del convegno è stata la sfida del post umano, che pone all'educazione non solo una sfida di modernizzazione, ma anche l'affrontare il problema digital divided, la distanza digitale tra zone del mondo e tra cittadini. Da alcuni anni l’uomo viene sottoposto a straordinari mutamenti come mai era avvenuto prima nella storia dell’umanità. Per secoli abbiamo ritenuto che l’educazione si dovesse occupare soprattutto di spirito, coscienza e sapere. Ora tale concezione è radicalmente messa in discussione dall’evoluzione della biologia, e più in generale delle scienze e delle tecnologie: è per questo che l’educazione non può disinteressarsi di quel che sta avvenendo.
Che ruolo ha, quindi, l'educazione in questo nuovo scenario?
L’avvento del post-umano può mettere sotto scacco la pedagogia, perché si rischia di non comprendere più come si possa educare un uomo e una donna che corrono il pericolo di vedere irreparabilmente alterata la loro stessa natura umana. L'educazione è convocata quindi a ripensarsi di fronte a uno scenario così ampio e traumatico, anche per chi ha ruolo di educatore, genitori o professori. Ci troviamo alle prese con una sfida inedita, che vede la scienza e la tecnica condurre l’uomo oltre l’uomo. Abbiamo lavorato tre anni sul tema dell'immaginario, da quest'anno la svolta, un primo assaggio di un discorso molto vasto che non abbiamo affrontato da un punto di vista geografico, ma teoretico. Partendo dal vocabolario minimo necessario per affrontare l'argomento.
Che messaggio portate alla Perugia-Assisi?
La marcia è una tradizione italiana di cui non si può fare a meno, è decisivo che certi gesti, che una pedagogia di gesti venga conservata. La marcia, quest'anno, ha un’idea di base, una parola d'ordine più ampia: quella di guardare alla pace da diversi punti di vista, di interrogarsi, cioè, su quali sono oggi gli scenari di conflitto non risolti, non solo le guerre. La pietruzza che porteremo noi, è che di fronte alla tecnologia c'è il rischio di avere reazioni apocalittiche o al contrario integrate, da tecnofobi o da chi cambia cellulare ogni volta che esce un nuovo modello. La chiave non è la ricerca di un giusto mezzo, ma mantenere sempre la capacità di discernimento per creare un nuovo concreto umanesimo.