Herat. L’analisi del tragico incidente


Duilio Giammaria


La pattuglia italiana che ha aperto il fuoco era, a quanto risulta, addetta all’addestramento delle truppe afgane. L’inviato Rai Duilio Giammaria commenta: "Ho assistito a molti addestramenti di questo tipo. La comprensione di un paese è una faccenda complessa".


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Herat. L’analisi del tragico incidente

Il tragico incidente di Herat testimonia della criticità di idee semplicistiche sull’Afghanistan. Una per tutte, l’idea che all’aumento di forze sul terreno corrisponda una maggiore capacità di controllo del territorio.  Incidenti simili avvengono decine di volte ogni giorno in tutto il paese.
 
La disparità tra le condizioni di vita di qualsiasi militare internazionale e la popolazione afgana è il primo ostacolo. Non è semplicemente una questione di vita materiale. Tra un occidentale in divisa e un afgano c’è una differenza di approccio, sensibilità e percezione del pericolo assai differente. In breve sono 2 mondi diversi.

La pattuglia italiana che ha aperto il fuoco era, a quanto risulta, addetta all’addestramento delle truppe afgane. Ho assistito a molti addestramenti di questo tipo. I soldati e i carabinieri italiani hanno indubbiamente capacità di insegnamento e comprensione delle altrui culture e comportamenti certamente al di sopra di molti altri contingenti internazionali.

Ma non basta. La comprensione di un paese, del comportamento dei suoi abitanti, è una faccenda complessa che richiede tempo e soprattutto la possibilità di essere a continuo contatto con la vita quotidiana.

Per gran parte delle truppe internazionali presenti in Afghanistan, il contatto con la popolazione avviene solo in occasione delle ronde e delle operazioni di scorta. Dalla torretta di un autoblindo, dietro occhiali scuri e una mitragliatrice puntata, la percezione della realtà è assai diversa e può produrre quei fenomeni di cattiva interpretazione all’origine della tragica sparatoria di Herat costata la vita ad un’adolescente afgana.

L’addestramento delle truppe afgane, le uniche, per le ragioni di cui sopra, ad avere la corretta sensibilità e lo stesso sistema di segnali e interpretazione della popolazione civile afgana è una condizione necessaria ma non sufficiente.

Se l’esercito e la polizia afgana sarà addestrata convenientemente ciò non basterà se il governo e l’amministrazione afgana rimarrà come è il caso attuale, grandemente corrotta. Capi distretto, ufficiali e posti di rilevanza sono spesso affidati con un sistema di assoluta cooptazione: spartiti tra clan e tribù. In alcuni casi addirittura messi all’asta in relazione alla capacità che ha il posto di produrre un reddito illecito (ad esempio tasse doganali e multe).

Quindi la ricetta non può che essere good governance, capacità di comunicazione che consenta alla popolazione di percepire che l’amministrazione afgana è lì non per i proprio interessi collusivi ma per quelli del popolo afgano. Una comunicazione costante e pro-attiva per creare condivisione di valori e di comportamenti. La democrazia e la sicurezza sono fiori che sbocciano solo sul terreno fertile di un paese che non ha paura di chi li sta amministrando.

Fonte: Articolo21

Articolo di Duilio Giammaria, Inviato RAI

4 maggio 2009

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