Attacco al diritto di sciopero: ultimo atto della tragedia


Paolo Serventi Longhi


Pezzo per pezzo, ci stanno sottraendo libertà e diritti fondamentali perchè sanciti dalla carta costituzionale. Sono abili e lavorano quasi in silenzio, aiutati da un sistema dell’informazione prevalentemente prono al potere politico ed alla maggioranza governativa…


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Attacco al diritto di sciopero: ultimo atto della tragedia

Pezzo per pezzo, ci stanno sottraendo libertà e diritti fondamentali perchè sanciti dalla carta costituzionale. Sono abili e lavorano quasi in silenzio, aiutati da un sistema dell’informazione prevalentemente prono al potere politico ed alla maggioranza governativa. Con un’opposizione indebolita dalle lacerazioni interne e che reagisce con voce molto flebile,  e due confederazioni sindacali su tre che sembrano ormai avere rinunciato a difendere gli iscritti e i lavoratori.
Un unico grande nemico: la Cgil che cerca di far valere, con pacatezza e discutendo il merito dei problemi, le ragioni di milioni di lavoratori e pensionati che si sentono traditi. L’attacco al diritto di sciopero è solo l’ultimo atto di una tragedia, quella italiana, che talvolta butta in farsa, ma più spesso delinea un Paese autoritario, repressivo, duro con i deboli e ossequioso verso i forti, verso i padroni del vapore.
In questo quadro meraviglia qualcuno se, per ora solo nei trasporti e domani chissà,  il Governo si stia prendendo la delega a riformare le norme che regolano lo sciopero senza confronto parlamentare e con la presa in giro dei sindacati ai quali si assicura “una approfondita consultazione”? Ma quale, se due confederazioni su tre, appunto, hanno già detto di sì. Anzi, avevano già dato risposta affermativa prima ancora che il consiglio dei ministri licenziasse il testo che, almeno nella forma, cerca di evitare le critica severe dall’interno della stessa maggioranza.
La verità è che, ripeto nonostante le correzioni dell’ultima ora, il ddl delega di fatto rende assai difficile proclamare uno sciopero nei trasporti. Occorrerà che l’agitazione sia proclamata da sindacati rappresentativi di almeno il 50 per cento dei lavoratori oppure da organizzazioni che rappresentino almeno il 20 per cento, dopo il pronunciamento positivo di almeno il 30 per cento degli interessati. Giustamente Guglielmo Epifani, a caldo, ha detto che è come se per un referendum nazionale dovessero votare venti milioni di persone per poter promuovere l’iniziativa.
Il cosiddetto sciopero virtuale, inoltre, andrà negoziato ma sarà certamente applicato. Si tratta di una vecchia proposta avanzata dai nemici del diritto di sciopero 15 anni fa e rispolverata da Sacconi. Un sindacato – in sostanza – proclama lo sciopero ma i lavoratori prestano ugualmente la loro opera e versano la retribuzione corrispondente ad un non meglio precisato fondo. Ma Sacconi precisa: naturalmente le aziende ci rimettono. E come? Versando i soldi dei lavoratori al fondo (gestito da chi?) invece che ai loro dipendenti? Meglio lo sciopero alla giapponese: una fascia gialla intorno alla testa e tutti a pedalare. Grande.
Ma tutto ciò piace a Bonanni e ad Angeletti: soluzioni veramente innovative, come quelle contenute nell’accordo separato del 22 gennaio. Meno soldi in busta paga, più precariato, meno vincoli e controlli.

Fonte: Articolo21

27 febbraio 2009

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