La pace tra accoglienza e integrazione
Mauro Sarti
Intervista a Enrico Palmerini, vice presidente nazionale del CNCA.
Pace è anche sinonimo di accoglienza. E dunque di interventi sul disagio…
Quando si parla di accoglienza, bisogna stare attenti al tranello di non trovarsi a fare “parti uguali fra disuguali”, come diceva don Milani. Ad esempio nel caso dello smantellamento di un campo nomadi, o solo del suo spostamento, da parte di un’amministrazione, ne consegue che in quel caso è stata ascoltata la protesta di una parte della popolazione, quella che si è maggiormente mobilitata. Ma dobbiamo anche domandarci perché questo è avvenuto. Probabilmente non è stato fatto tutto il possibile per accompagnare il quartiere, le persone che vivono in quel quartiere, verso l’accettazione di queste persone che vengono allontanate. Perché tutti devono trovare il modo di arricchirsi.
E il ruolo dei giovani?
In questo momento c’è una tensione sociale molto forte che riguarda i giovani (sulle droghe, la violenza negli stadi, l’immigrazione, la prostituzione, ecc). Ma bisogna stare attenti a fare in modo che non vengano calpestati i diritti: senza il riconoscimento dei diritti delle persone, si costruiscono solo delle gabbie sempre più piccole, dei luoghi separati dalla società civile… Questo non vuole dire costruire la pace.
Una proposta?
E’ chiaro che per intervenire su questo non serve fare interventi di settore (sulla droga, sull’immigrazione) ma serve invece affrontare complessivamente questi problemi come fenomeni sociali. Non serve intervenire sempre sull’emergenza, con interventi precari. Ma avere presente il complesso del problema. Esiste una legge quadro sul fondo sociale, la 328 del 2000, che dovrebbe essere ancora un punto di riferimento per questo.