La giustizia che cambia
Rino Giacalone
Intervista a Dino Petralia, componente del Consiglio Superiore della Magistratura. È uno degli "attori" di questa fase giudiziaria italiana parecchio accesa.Il ruolo, ma prima ancora lo stile di sempre, non lo portano ad essere tra quelli più in contatto con giornali e mass media in genere.
Una discrezione dietro la quale c'è un costante lavoro per la giustizia. Dino Petralia ex pm a Trapani, poi giudice a Marsala infine per diversi anni procuratore a Sciacca, nell'organo di autogoverno della magistratura siede in rappresentanza del movimento per la giustizia. È vice presidente della commissione che si occupa dell'organizzazione degli uffici giudiziari, componente di quella che si occupa delle inchieste. Insomma siede in quei posti che oggi affrontano l'attualità che fa tanto discutere.
Una giustizia che cambia, in meglio o in peggio?
“Certamente rischia di cambiare in peggio! Snellire le procedure e depenalizzare inutili reati, quello sì sarebbe il vero toccasana per la giustizia penale; le riforme in corso, comprimendo anche nella durata la possibilità di intercettare e liberando la polizia giudiziaria dal controllo del pubblico ministero, finiranno invece per appesantire le indagini e renderle più spurie; col rischio reale che i processi, invece di ridursi nel numero e durare di meno, si moltiplicheranno e richiederanno più tempo”.
Si dice che alla riforma si arriva per colpa di giudici e magistrati troppo chiaccheroni e politicizzati, è vero?
“Se ciò fosse vero sarebbe ancora peggio! Si punirebbero i cittadini che attendono processi giusti e giustizia celere, invece che i magistrati – che ci sono – chiacchieroni e politicizzati. Ai giudici che sbagliano provvediamo noi al Csm: è la Costituzione a volerlo; la politica si occupi di scelte genuine e necessarie”.
In Sicilia però frattanto arrivano da diversi punti della Regione gridi di allarme su procure e tribunali in tilt. Ministero e Csm sembrano avere mani legate
“Il punto non è facile da spiegare, ci proverò: una norma impedisce che i nuovi magistrati vadano nelle procure; Ministero e Csm stanno facendo la loro parte; il primo ha previsto trasferimenti d'ufficio nelle sedi più vuote con incentivi economici e di carriera, al Csm abbiamo pubblicato più volte i posti vacanti e stiamo riempiendo i tribunali (non le procure) con i vincitori di concorso. Resta dunque il problema delle procure che, se non dovesse funzionare l'attrattiva dei vantaggi ministeriali, ben presto esploderà e, si spera, senza attacchi all'indipendenza e all'autonomia del pubblico ministero; ma su questo vigileremo insieme all'Anm”.
Viene quasi da pensare una strategia a mettere il silenziatore ai magistrati e giudici.
“Se esista una strategia ben precisa non posso affermarlo; certo, la sequenza degli annunci e dei proclami sulla giustizia che si avvicendano freneticamente, molti dei quali non trovano poi completa corrispondenza nei singoli disegni di legge, fanno riflettere!”.
Una lunga esperienza di magistrato, lei fu quello che in tempi recenti sarebbe stato chiamato giudice ragazzino, se glielo avessero detto come avrebbe risposto?
“Ci avrei riso! Ma avrei contemporaneamente cercato stampa e televisioni per poter dire pubblicamente che l'equilibrio e la saggezza del giudice non ha età, ma nasce e si rafforza dall'umiltà dell'agire. Oggi, a 50 anni, sarei ironicamente lusingato di un così rapido lifting professionale e anagrafico”.
Adesso al Csm, tra le sue mani fascicoli importanti per non dire scottanti, come il contrasto tra procure, come ha affrontato il tema?
“Con la consueta serenità. Ma con l'equilibrio ed il rigore che le situazioni richiedono; e la vicenda Catanzaro-Salerno, così come altre forse ancora più gravi, impongono”.
Posizione comunque invidiabile la sua, punto di osservazione eccezionale quello di Palazzo dei Marescialli sullo stato della giustizia.
“Lavorare al CSM consente di avere una visione non parcellizzata ma globale della magistratura, dei suoi pregi e difetti, dei profitti e delle perdite di una giustizia che ha urgente bisogno di riforme vere e fruttuose per i cittadini e che oggi stenta ad organizzarsi in modo moderno ed efficiente. Adesso, però, grazie a questo Csm, abbiamo presidenti e procuratori più giovani, più motivati e più attivi; per le nomine dei dirigenti oggi valgono le attitudini alla direzione e all'organizzazione, non più la semplice anzianità: la vicenda Falcone-Meli ha dato finalmente i suoi frutti!”.
Un atto che vorrebbe scrivere, quale e perchè?
“La sentenza che condanna l'ultimo dei mafiosi esistenti”.
Fonte: www.liberainformazione.org
10 Febbraio 2009