La sfida di Ocha
Theo Guzman
L’ufficio Onu per gli affari umanitari apre i battenti a Kabul. Anche per risistemare le sorti delle Nazioni Unite che non godono di buona stampa. Intanto gli Stati uniti iniziano a dare il via libera all’arrivo di nuovi marine e i talebani continuano a colpire: oltre venti poliziotti uccisi da un kamikaze nell’Uruzgan.
Kabul – L'ennesimo attentato kamikaze dei talebani, un finto poliziotto si e'fatto esplodere in un centro di addestramento della polizia afgana a Tirinkot (provincia meridionale di Uruzgan), si è concluso ieri con un bilancio di oltre venti morti e diversi feriti. L'inverno non ha attenuato gli attacchi, ormai routine quotidiana. E' infatti, paradossalmente, un tema che tiene meno banco di altri. Succede e basta.
Quello degli ingenti aiuti internazionali all'Afghanistan e la loro fine è invece sempre alla ribalta, tema topico in un paese dove i risultati della ricostruzione, lenta e a macchia di leopardo, non si vedono. E' così sensibile che domenica il ministro degli esteri Dafdar Spanta, dopo la pioggia di critiche che sta investendo il governo Karzai, si è lamentato del fatto che Kabul controlla solo il 20% dell'aiuto esterno: "Spesso ci accusano di crimini che non abbiamo commesso", ha detto rilevando che sull'80% dei fondi l'Afghanistan non ha alcun controllo.
Vero o meno, l'argomento non è secondario e si riflette in una percezione diffusa che mette sotto accusa un po' tutti i donatori senza distinzione, le Nazioni Unite in cima alla lista. Ed è forse anche questo uno dei motivi che ha spinto questa estate l'Ufficio dell'Onu per gli affari umanitari (Ocha), con sede a Ginevra, a un vero e proprio braccio di ferro con Unama, la missione dell'Onu in Afghanistan, in effetti un po' appannata e ritenuta un po' troppo schiacciata rispetto ai grandi attori internazionali, gli americani e la Nato.
Unama è diretta dal norvegese Kei Eide, che non ha gradito l'intrusione di John Holmes, un gradino sotto Ban Ki-moon e potente sottosegretario Onu nonché capo di Ocha, che voleva imporre l'apertura di un suo ufficio a Kabul. All'inizio sembrava che Eide l'avesse avuta vinta e tra l'altro, proprio a partire da questa estate, il neo capo di Unama ha cominciato una vera e propria campagna mediatica personale in un tour de force tra radio, tv e stampa, nel quale ha fatto di tutto per smarcarsi dalle ombre che gravano su Unama, attaccando a muso duro Nato e americani per la gestione di una guerra che continua a far vittime civili. Ma in realtà è stato Holmes a vincere la partita. Giocata anche sul tavolo di un abile negoziato con le grandi organizzazioni umanitarie internazionali (e in parte anche italiane) che hanno fatto blocco e pressione appoggiando l'iniziativa di Ocha.
Adesso Ocha ha ufficialmente il suo posto a Kabul, con la scommessa di non fare la stessa fine di Unama, tirar su l'immagine dell'Onu, dimostrare efficienza ed efficacia nelle emergenze e una rinnovata collaborazione con Ong internazionali e locali, oltreché con quell'embrione di società civile afgana, sempre invocato ma alla fine lasciato ai margini della grande torta dell'aiuto.
All'inizio di gennaio è stato nominato il nuovo capo della struttura afgana: Wael al Haj Ibrahim, un personaggio amato dai non governativi e noto per essere stato espulso dal Sudan nel novembre 2007 con accuse fumose. Il programma è ambizioso: capacità rapida di risposta alle emergenze, buon rapporto con i partner non governativi e un focus particolare sul controverso rapporto tra civili e militari, nella competizione ormai accesa tra i Prt, la cooperazione civile-militare della Nato, e gli umanitari più o meno senza bandiera.
Il suo Piano d'azione umanitario per il paese viene annunciato domani a Ginevra e il 10 verrà presentato a Kabul. E non e l'unica cosa sul piatto. Ocha vuol vederci chiaro anche sul famigerato "surge", il piano americano di armare milizie locali contro i talebani, sostenuto dai 15mila nuovi marine che il Pentagono vuole mandare in Afghanistan col beneplacito di Obama.
Fonte: Lettera 22 e il Manifesto
3 febbraio 2009