Gaza e Africa. Crisi e paraventi
Nigrizia.it
La crisi economica mondiale e l’attenzione sui fatti mediorientali rischiano di relegare l’Africa sullo sfondo degli interessi e delle passioni sociali e politiche, se non addirittura di farla totalmente sparire dai nostri orizzonti di senso e d’impegno.
Per una volta partiamo dalla televisione, da Rai2. La puntata di Anno Zero dello scorso 15 gennaio è ricordata per il litigio in diretta tra il conduttore Michele Santoro e la giornalista Lucia Annunziata, in seguito al rilievo di quest’ultima sull’impostazione troppo filopalestinese della trasmissione. Santoro replica duramente e Annunziata lascia lo studio per protesta.
Forse il siparietto è servito a far discutere e a mettere in evidenza che sulla vicenda di Gaza l’opinione pubblica italiana è spaccata. Ma a noi è rimasta impressa una particolare frase di Santoro: quella in cui invita il leader del Partito democratico, Walter Veltroni, ad andare a vedere ciò che succede a Gaza, invece di occuparsi dell’Africa. Veltroni ha dedicato al continente un suo libro, ha fatto dei viaggi nel sud del mondo e ha affermato che, prima o poi, andrà a fare il volontario in qualche paese africano.
Ripartiamo, ora, dalla copertina di questo numero di Nigrizia. Sono raffigurate due donne congolesi che si caricano sulle spalle un sacco di farina – aiuto dell’Onu – che servirà a dare da mangiare alle loro famiglie per qualche settimana… Poi si vedrà. Le due vivono nel Nord Kivu, una regione dell’est dell’Rd Congo, dove è in corso da anni una crisi politico-militare che costringe centinaia di migliaia di persone nei campi profughi, che causa morti e feriti ogni giorno, che la comunità internazionale e, tanto meno, il governo congolese vogliono risolvere.
Siamo certi che anche per Santoro, in via di principio, i morti congolesi valgono quanto quelli di Gaza. Ma il punto è che per Santoro, come del resto per larga parte dell’opinione pubblica italiana e occidentale, l’Africa rimane sullo sfondo dei suoi interessi e delle sue passioni sociali e politiche. Insomma, l’Africa viene messa facilmente tra parentesi e fatta scomparire dal proprio orizzonte di senso e d’impegno. È sufficiente la crisi di Gaza.
Lo stesso può accadere per la crisi economica che si sta facendo sentire anche dalle nostre parti. Non vorremmo che la diminuzione del tenore di vita al quale siamo abituati spingesse settori importanti della nostra società a chiudersi, a guardare solo al proprio orticello più di quanto facciamo usualmente, a rinunciare a fare i conti con la complessità e la contraddittorietà dei nostri tempi. In poche parole, a tirare i remi in barca e a lasciarsi trasportare dalla corrente. Che non va esattamente verso l’Africa.
Basta guardare a quello che sta combinando il governo, in tema di immigrazione, con il decreto-sicurezza: una serie di norme che puntano a escludere socialmente l’immigrato e a presumerne la pericolosità, creando così allarme sociale. Con il rischio che tanti si dimentichino che gli immigrati, qui dai noi, fanno soprattutto una cosa: lavorano! Non a caso, i soli immigrati africani, nel 2007 hanno inviato a casa loro risparmi per oltre 900 milioni di euro, soldi che rappresentano, per molti paesi, una fetta non trascurabile del prodotto interno lordo.
E guardiamo anche a ciò che succede nel settore della cooperazione italica allo sviluppo. Fondi ridotti all’osso, nessuna voglia d’impegno da parte del pubblico (al massimo, si scambiano aiuti con improbabili accordi bilaterali per arginare l’immigrazione clandestina), organizzazioni non governative lasciate a sé stesse, del tutto accantonata la riforma della legge sulla cooperazione…
Infine, vi ricordate del Giubileo del 2000 e degli impegni perlomeno a ridurre il debito verso l’Italia dei paesi in via di sviluppo? Persino la Conferenza episcopale italiana, dopo aver promosso e realizzato iniziative di remissione del debito in Guinea e Zambia, ha deciso di porre fine all’esperienza della Fondazione Giustizia e solidarietà.
Sono tutti segnali preoccupanti, che l’onda montante della crisi economica potrebbe aggravare e moltiplicare. Abbiamo davanti due strade: o rimanere rintanati, sperando che l’onda, come di solito accade, scarichi la sua violenza, soprattutto sui più poveri; oppure evitare di fare della crisi un paravento e decidere di continuare a investire in una cittadinanza matura e aperta al mondo. Anche all’Africa.
Fonte: Nigrizia.it
editoriale di Febbraio