Terra promessa: siamo al “non ancora”?
Piero Piraccini
Vicende tragiche ed intricate affondate nel tempo che solo la ragionevolezza di leader illuminati potranno risolvere. Obama? Si vedrà. Per ora, le poche frasi ed i molti silenzi non consentono troppe speranze.
“Terra di parole divine rivelate all'umanità, la Palestina è il paese natale del popolo arabo palestinese”. Così l'incipit della dichiarazione d'indipendenza approvata dal Consiglio nazionale palestinese nel lontano 1988.
“Il diritto del popolo ebraico di tornare nella propria patria storica: la terra di Sion”: questa la rivendicazione dei leader sionisti per i quali la Palestina era “una terra senza popolo per un popolo senza terra” ed in coerenza con le Sacre Scritture: “da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore”.
Gerusalemme, la santa, la città della pace, la pupilla dell'occhio del mondo, la casa di Dio con gli uomini, unica ed universale. Gerusalemme, il punto di tangenza fra terra e cielo.
Eppure in quella terra – che le religioni monoteiste dicono abbia visto la presenza del comune progenitore Abramo, del Figlio di Dio e di Maometto – ancora una volta, si dà la più grande delle offese: l'uccisione deliberata (non ci sono effetti collaterali che tengano) di innocenti, in una carneficina che non ha nulla di diverso da quando erano i lupi a regolare i rapporti fra gli uomini. La gravissima crisi umanitaria è negata dalla ministra Livni, a dimostrazione che il negazionismo sta da più parti.
Eppure, ancora una volta, vediamo le stesse immagini sconce di due anni fa, in Libano: ospedali bombardati, scuole distrutte, case ridotte a macerie, uomini e donne, bambini ed anziani uccisi, mutilati, terrorizzati dall'esercito israeliano. Questa volta perchè Hamas ha “rotto la tregua”, rifiuta il diritto di Israele ad esistere, lancia razzi nelle città israeliane col rischio di ucciderne la popolazione.
Il fatto che Gaza – una terra minuscola che ospita un milione e mezzo di palestinesi, la gran parte rifugiati – la cui sopravvivenza è legata agli aiuti internazionali, in tempo di “tregua” sia una prigione i cui confini terrestri, marittimi ed aerei sono controllati da Israele che spesso impedisce l'approvvigionamento di cibi e medicinali, non conta per i Grandi della terra impegnati a trovare le parole giuste, spesso inutili, per affrontare il problema. Quando non sono impegnati a trascorrere le ferie, come il nostro inutile ministro Frattini, chè allora parlano le bombe.
Né hanno alcun peso le risoluzioni dell'ONU (l'ultima, la 1860, è di alcune ore fa) che da quarantanni chiedono invano ad Israele di ritirarsi dalle terre palestinesi occupate e di restituire alla giurisdizione internazionale la città di Gerusalemme. Il fatto è che ogni volta cambia il pretesto che rende impossibile l'accordo: Arafat era troppo infido per trattare (ma con lui, Rabin aveva stipulato un accordo di pace, pagato poi con la vita per mano israeliana), Abu Mazen è poco rappresentativo e troppo debole, Hamas è una formazione terrorista anche se votata dalla maggioranza dei palestinesi. Il problema vero è che da oltre 60 anni, da quando è nato lo stato di Israele, la comunità internazionale strattonata dagli interessi in quell'area, non ha il coraggio di imporre la pace. Il problema sono gli USA che (lo ha affermato l'ex presidente Carter) giornalmente forniscono ad Israele milioni di dollari per l'acquisto di armi di difesa (non di offesa!) e paralizzano l'ONU ogni volta che c'è da votare risoluzioni di condanna. Il problema è l'Europa che si presenta alle trattative con ben tre persone portatrici di tre proposte diverse: l'altrettanto inutile Blair, l'europeo Solana e Sarkozy. Il problema è la debolezza dell'ONU che non sa decidersi ad essere fisicamente presente sul campo per dare pace e sicurezza ad Israele ed alla Palestina. Il problema siamo ognuno di noi che da una guerra all'altra sta a guardare, e la nostra opposizione politica che più “ombra” non si può. Il fatto è che davanti alle immagini che scorrono in tv – quelle consentite perchè Israele vieta la presenza di giornalisti – non esiste un'adeguata indignazione. Non solo davanti agli omicidi di Gaza, ma anche davanti a quelli del Darfur e degli altri teatri di guerra aperti nel mondo. Di questi giorni il Centro per la Pace “E. Balducci” inaugura una mostra che illustra l'effetto delle leggi razziali del 1938 sugli ebrei che abitavano a Cesena. Cinquanta studenti, poi, andranno a visitare il campo di concentramento di Auschwitz. Là dove, provenendo forse dal ghetto di Varsavia, doveva essere deportato quel bambino la cui foto, mille volte rappresentate, lo vedono con le mani alzate davanti a soldati nazisti, un berretto in testa ed un cappottino corto sulle gambe nude. Il suo nome è Tsvi Nussbaum. Scampato alla camera a gas, vive negli USA. Piacerebbe sapere cosa pensa, davanti alle odierne atrocità. Piacerebbe sapere perchè il “mai più” non s'è avverato. Siamo al “non ancora”? E' il filo di speranza che resta.
Articolo di Piero Piraccini
gennaio 2009