Il tunnel di Gaza e l’Italia assente


Santo Della Volpe - articolo21.org


Santo Della Volpe sottolinea: "Chiedersi quali sono i reali obiettivi dei due contendenti in campo significa interrogarsi sulle reali intenzioni e possibilità di pace in Medio Oriente. Perché comunque questa guerra ci sta nuovamente dimostrando che con i missili Quassam da un lato e con i bombardamenti indiscriminati dall’altro, non si va lontano".


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Il tunnel di Gaza e l’Italia assente

La guerra,si sa, è più facile  dichiararla che chiuderla. Perché gli eserciti sono fatti per andare avanti, avanzare, come i carri armati,appunto, passano e schiacciano. Anche a Gaza,soprattutto a Gaza, nella carneficina di Gaza. Ma ora, come si può chiudere questa  tragedia che ha trasformato la striscia di Gaza in un grande “imbuto” di  distruzione umana? Quali i reali obbiettivi di Tel Aviv e di Hamas? E, soprattutto, pensando al domani, cosa succederà dopo? Parlarne ora  non vuol dire avere la sfera da indovino; troppe gaffes si sono già fatte a danno dei palestinesi, a partire dal ministro degli Esteri Frattini che prima smentisce la partenza dell’operazione di terra israeliana (puntualmente avvenuta) e poi si giustifica  con parole ancora più incredibili  ed imbarazzanti per un ministro del G8 (per parole meno gravi , in tempi non lontani,ci si sarebbe già dimessi).  
Chiedersi quali sono i reali obiettivi  dei due contendenti in campo significa interrogarsi sulle reali intenzioni e possibilità di pace in Medio Oriente. Perché comunque questa guerra ci sta nuovamente dimostrando che con i missili Quassam da un lato e con i bombardamenti indiscriminati dall’altro, non si va lontano. Ed ammesso che Israele ottenga una momentanea vittoria militare, è molto probabile che si ritrovi presto nell’incubo di attentati,missili e kamikaze.
Ed allora bisogna  chiedersi quali obbiettivi abbia  questa  guerra che sta facendo molte vittime anche “politiche”.
La prima vittima è il dialogo Israele-palestinese sul quale aveva puntato le su carte Abu Mazen. Anche se Israele dovesse vincere militarmente, Al Fatah non potrebbe rientrare a Gaza sul sangue di 800-900 vittime palestinesi,non potrà mai accettare di varcare le frontiere dietro i carri armati israeliani che hanno sparato sulle scuole e sulle case. Né,si è visto, la popolazione di Gaza,pressata da guerra e morte, si è ribellata ad Hamas,che pure stava trasformando , durante la ultima tregua estiva del 2008, la sua passata vittoria elettorale in un vero e proprio regime,suscitando quindi risentimenti e reazioni negative tra la popolazione palestinese. La guerra ha cucito le bocche agli oppositori interni,Hamas ha trovato il modo di cucirne per sempre altre, le bombe israeliano infine hanno  ricompattato i palestinesi di Gaza che, almeno per ora, sembrano esser tornati   con Hamas. Bel risultato di Olmert…
Chi governerà allora Gaza, se l’esercito israeliano ,finito il “lavoro”, torna fuori dalla striscia?Ed ancora; ma l’esercito di Tel Aviv vorrà tornare indietro o il ministro della difesa Barak ha intenzione di rioccupare Gaza, spingendo la popolazione palestinese ad ammassarsi per paura verso il confine  con l’Egitto e poi buttandola fuori verso il Sinai? Se questa fosse l’intenzione israeliana ,si tratterebbe di un calcolo spaventoso perché costringerebbe l’Egitto alla reazione,chiudendo le frontiere. Significherebbe giocare sulla pelle di migliaia e migliaia di persone che già vivevano da profughi in casa propria e che si troverebbero ammassati in tendopoli  allucinanti sul confine. Ma significherebbe anche  costringere  Mubarak a reagire politicamente  interrompendo ogni dialogo con Israele, mettendo il leader egiziano tra i due fuochi dei Fratelli Musulmani all’interno, di Hamas  (per di più praticamente in casa) e facendo tornare i rapporti con Israele al tempo precedente Sadat; costringendo poi anche la Giordania a reagire,chiudendo ogni dialogo possibile con il governo di Tel Aviv. Senza contare che a quel  punto, senza soluzione politica, anche la Siria alzerebbe i toni,appoggiando Hezbollah in Libano e rompendo anche lì quel filo di speranza  di trattativa di pace che si stava faticosamente costruendo con la mediazione della Turchia (ora decisamente accantonata).
 Per questo l’Egitto oggi vuole intensificare l’azione diplomatica per giungere ad una pace a Gaza che ponga come condizione il ritiro di Israele nei vecchi confini di un mese fa, in cambio della chiusura dei tunnel che facevano della frontiera del Sinai un vero colabrodo.Ma senza quei tunnel a Gaza nei mesi scorsi non avrebbero mangiato,visto l’embargo israeliano. E quindi  una tregua prima ed una pace dopo, da firmare il più presto possibile,prima che l’offensiva di terra diventi una occupazione della striscia deve avere delle condizioni.
La pace   deve avere innanzitutto persone chi parlino ad un tavolo,anche attraverso dei mediatori accettati dalle due parti, e dei garanti: perché alla frontiera  di terra e mare passino farina e pecore,ma non armi e missili. Perché palestinesi ed israeliani si convincano che devono convivere senza tentare ,ciascuno con i propri mezzi, di distruggersi. Già,ma chi devono essere questi mediatori e garanti? Sulla mediazione  Mubarak sembra l’unico in grado di  fare qualcosa, mentre l’ONU ha fatto (poco) ma ha prodotto una base politica internazionale. Ma Mubarak stesso ha pochi giorni e margini sempre più ristretti dopo che anche la Francia sembra esser tornata nei suoi confini politico istituzionali,senza aver raggiunto una intesa.E mentre i paesi arabi,dopo l’inutile riunione della Lega Araba, non sembrano voler spendere molte forze, neanche alzando la voce. Margini e tempi stretti,quindi per l’Egitto.
 E poi, visto che l’UE ha dimostrato solo attivismo,quello francese, o impossibilità di farsi ascoltare (Blair) se non inconsistenza (Berlusconi e Frattini, capaci solo a telefonare….),non resta che aspettare Obama,che  deve fare qualcosa perché non può permettersi di arrivare alla Casa Bianca e “bucare” la prima occasione di impegno, trovando troppi fronti aperti in politica internazionale (già ha l’Iraq da sbrogliare…).Sapendo che gli Usa sono gli unici  in grado di fermare la guerra. Ed è per questo,forse, che Olmert vuole chiudere la sua partita prima del 20 gennaio,prima cioè del giorno del giuramento del presidente americano.  
Comunque sia però la partita del dopo resta aperta:  Israele non  torna indietro senza la garanzia che nessun missile venga lanciato il giorno dopo sui coloni oltre il confine di Gaza, né può permettersi di lasciare il suo esercito a occupare la Striscia sottoponendo i suoi soldati a rischi quotidiani di attentati e conseguenti rappresaglie che la indebolirebbero all’interno (e nel consesso internazionale). Dunque ci vorrebbe una posizione forte, unitaria, di  Europea ed  Stati Uniti, per costringere  Hamas e Israele ad accettare dei garanti ed una forza di interposizione che  impedisca  ad Hamas di sparare missili e ad Israele di affamare ed impoverire la striscia di Gaza impedendone lo sviluppo. E soprattutto che rimetta la politica al centro dello scontro, facendo cioè della politica il luogo della battaglia,figurata ma vera, sulle prospettive della convivenza tra israeliani e palestinesi.
Italia,dove sei? Perché come per il Libano non si comincia a  mediare e fare proposte di dialogo e soluzione, se necessario mettendoci sotto l’Onu a proporre una forza multinazionale che ,ad esempio, sorvegli i confini del Sinai, pattugli il mare di Gaza impedendo il contrabbando di armi, garantisca i palestinesi che il cibo ,l’energia elettrica, i beni essenziali arrivino a Gaza,che si crei una economia per il futuro dei giovani? Dov’è finita la politica italiana in Medio Oriente?  Perché Berlusconi invece di parlare per ore ,spesso inutilmente,in Sardegna o per telefono,non fa il presidente del Consiglio di una potenza mondiale come l’Italia proponendo soluzioni a questa guerra?
La pace si costruisce,ora,subito,fermando la guerra con prospettive durature.E se non lo fa il governo,lo devono fare le associazioni,le Ong, la società civile e le associazione per la pace:  si chieda politica di pace e sviluppo.
Bruciare le bandiere israeliane  per le Tv è da imbecilli: dire solo “abbiamo ragione noi” è da imbelli e favorisce solo la guerra.
Un’altra via è possibile; ma ora e subito.

Fonte: Articolo21

13 gennaio 2009

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