Non lasciamo che la Birmania rimanga un problema solo sulla carta


Articolo 21


La situazione di questo piccolo paese denuncia un problema assai più grave: che finora la struttura delle Nazioni Unite non si è dimostrata per niente funzionale a garantire il rispetto dei diritti umani e che, per far prevalere la giustizia sulla cosiddetta realpolitik, sarà forse necessario premere per una più ampia ristrutturazione del sistema.


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Non lasciamo che la Birmania rimanga un problema solo sulla carta

Da qualche giorno si è conclusa a  New York la 63° Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Anche quest’anno nella  grande tribuna internazionale è stata presa in esame la situazione dei diritti umani in Birmania ed anche quest’anno è stata adottata una risoluzione a  riguardo, l’A/RES/63/245. Si tratta della diciottesima risoluzione a  partire dal 1991, l’anno in cui il regime annullò illegittimamente l’esito delle elezioni politiche vinte a stragrande maggioranza dal partito d’opposizione e, incurante della condanna internazionale, instaurò nel paese una vera e propria dittatura.

Si tratta della diciottesima risoluzione ma rispetto alle precedenti i contenuti sono purtroppo variati ben poco, e lasciano intendere che gli sforzi diplomatici di questi anni non hanno dato grandi esiti positivi.
Si è nuovamente invitato il governo ad essere più aperto verso la democrazia, a sospendere gli arresti di attivisti politici, a promuovere il rilascio di Aung San Suu Kyi, a rispettare i diritti umani e le libertà fondamentali; si è espressa forte preoccupazione  per le voci di torture, abusi sessuali, e violenze avvenuti nella repressione di manifestazioni pacifiche nel settembre 2007 nonché forti dubbi sull’effettivo  perseguimento della cosiddetta  seven step roadmap to democracy, il processo di democratizzazione promesso dal governo tra cui sono incluse le elezioni generali.

La risoluzione è stata adottata con 85 voti a  favore, 25 contro e 45 astenuti.
Di seguito le votazioni dei singoli stati (in inglese):

A favore:  Afghanistan, Albania, Argentina, Armenia, Australia, Austria, Belgium, Bosnia and Herzegovina, Botswana, Brazil, Bulgaria, Burundi, Canada, Chile, Costa Rica, Croatia, Cyprus, Czech Republic, Denmark, Dominican Republic, Eritrea, Estonia, Finland, France, Georgia, Germany, Greece, Guatemala, Honduras, Hungary, Iceland, Iraq, Ireland, Israel, Italy, Japan, Kazakhstan, Latvia, Lebanon, Liechtenstein, Lithuania, Luxembourg, Maldives, Malta, Marshall Islands, Mauritius, Mexico, Micronesia (Federated States of), Monaco, Mongolia, Montenegro, Morocco, Nauru, Netherlands, New Zealand, Norway, Palau, Panama, Paraguay, Peru, Poland, Portugal, Republic of Korea, Republic of Moldova, Romania, Samoa, San Marino, Slovakia, Slovenia, Spain, Sweden, Switzerland, The former Yugoslav Republic of Macedonia, Timor-Leste, Togo, Turkey, Ukraine, United Kingdom, United States, Uruguay.
Contro:  Algeria, Azerbaijan, Bangladesh, Belarus, Brunei Darussalam, China, Cuba, Democratic People’s Republic of Korea, Egypt, India, Iran, Lao People’s Democratic Republic, Libya, Malaysia, Myanmar, Nicaragua, Oman, Russian Federation, Sri Lanka, Sudan, Syria, Uzbekistan, Venezuela, Viet Nam, Zimbabwe.
Astenuti:  Angola, Antigua and Barbuda, Bahrain, Barbados, Bolivia, Burkina Faso, Cameroon, Colombia, Congo, Côte d’Ivoire, Ecuador, Ethiopia, Gambia, Ghana, Grenada, Guinea-Bissau, Indonesia, Jamaica, Jordan, Kenya, Kuwait, Kyrgyzstan, Lesotho, Malawi, Mali, Mauritania, Mozambique, Namibia, Nepal, Niger, Pakistan, Philippines, Qatar, Saudi Arabia, Singapore, Solomon Islands, South Africa, Swaziland, Tajikistan, Thailand, Trinidad and Tobago, United Arab Emirates, United Republic of Tanzania, Yemen, Zambia.

Come di consueto durante l’assemblea il rappresentante della Birmania, Kyaw Tint Swe, ha definito i richiami della risoluzione come interferenze  agli  affari interni  del paese assicurando comunque che, nonostante tutto, il suo  governo avrebbe continuato a  collaborare con i funzionari preposti ai buoni uffici del segretariato.
Ciò che potrebbe apparire un intento a collaborare è però solo la consapevolezza di Kyaw Tint Swe che i buoni uffici offerti dal segretario generale non costituiscono affatto un pericolo per il regime: negli ultimi venti anni gli inviati speciali si sono recati nel paese ben tredici volte senza riportare alcun successo tanto che, in segno di protesta, durante l’ultima visita ufficiale, la leader dell’opposizione Aung San Suu Kyi ha addirittura rifiutato un incontro con l’emissario ONU, Ibrahim Gambari.

Anche il Consiglio dei Diritti Umani, l’organo delle Nazioni Unite che assolve il compito di sorvegliare e garantire la tutela dei diritti umani, nonostante abbia negli ultimi anni adottato numerose risoluzioni sulla Birmania, intrapreso una procedura speciale, inviato più volte i “relatori speciali”, non ha ottenuto alcun risultato concreto: la situazione dei diritti umani in Birmania è ad oggi pressoché invariata, se non addirittura peggiorata e alla fine del 2008 le organizzazioni che ne promuovono la tutela denunciano più di 2100 prigionieri politici, di cui circa 250 processati il mese scorso fino a  68 anni di reclusione.

Se Assemblea Generale, Segretariato e Consiglio dei Diritti Umani non hanno dimostrato alcun potere di intervento, il Consiglio di Sicurezza, l’unico organo delle Nazioni Unite che potrebbe intimidire il regime rendendo operative sanzioni economiche o eventuali contromisure ha invece le mani bloccate e non è  mai intervenuto in maniera significativa  a causa dell'opposizione di Russia e Cina, suoi membri permanenti.
Russia e Cina hanno infatti da sempre sostenuto il governo militare birmano per ragioni di convenienza, sia strategica che economica, e nel Gennaio 2007 hanno  risposto con un veto contrario alla risoluzione proposta da Francia, Gran Bretagna e  Stati Uniti  in cui erano per la prima volta previste sanzioni efficaci contro Yangoon.
Difficile prevedere il futuro, e la questione Birmana potrà evolversi secondo numerosi fattori, probabilmente esterni a ragioni che seguono l’operato ONU.
Certo è che se dipendesse solo dalle Nazioni Unite, senza l'intervento del Consiglio di Sicurezza la Birmania rimarrebbe, come lo è ora, soltanto un problema sulla carta.

La situazione di questo piccolo paese denuncia quindi un problema assai più grave: che finora la struttura delle Nazioni Unite non si è dimostrata per niente funzionale a garantire il rispetto dei diritti umani e che, per far prevalere la giustizia  sulla cosiddetta realpolitik, sarà forse necessario premere per una più ampia ristrutturazione del sistema, almeno per quanto riguarda tali questioni.

Articolo di Giulia Menegotto, Freeburmaitaly

Fonte: Articolo21

5 gennaio 2009

Per maggiori informazioni www.freeburmaitaly.com

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