La RAI torni ad essere servizio pubblico


Gennaro Migliore


Nell’editoriale di Gennaro Migliore: "Morti sul lavoro, precariato, impoverimento crescente, effetti concreti della crisi sulle condizioni materiali di vita degli italiani: la Commissione di indirizzo e vigilanza non riteneva, né ritiene oggi che queste faccende la riguardino".


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La RAI torni ad essere servizio pubblico

L’incresciosa, a tratti grottesca, vicenda della nomina di Riccardo Villari alla presidenza della Commissione di vigilanza Rai mette spietatamente in luce una serie di problemi e nodi irrisolti. Quello che più ha attratto l’attenzione generale è il quadro che offre delle lacerazioni interne al Pd, che ha del tutto oscurato un aspetto altrettanto saliente e forse ancor più sconfortante, il ruolo e l’utilità reale della Commissione stessa.
Non è un caso che di quell’ente pochi ricordino e nessuno mai citi la denominazione completa: Commissione di indirizzo e vigilanza. La prima funzione, quella di indirizzo, è sempre stata totalmente e deliberatamente ignorata. E’ rimasta sempre e solo sulla carta. Parlo per esperienza diretta. Nel corso della precedente legislatura, in qualità di commissario di vigilanza, con Beppe Giulietti abbiamo tentato a più riprese, e sempre invano, di tradurre in realtà concreta il ruolo di indirizzo che alla Commissione stessa era stato originariamente assegnato. Abbiamo chiesto più volte che il Parlamento, nel pieno rispetto delle prerogative dell’azienda pubblica, si adoperasse perché nella programmazione trovasse spazio la società italiana, perché, insomma, la politica venisse intesa non solo come gioco di palazzo ma anche per quel che dovrebbe essere: la via per affrontare e risolvere i nodi sociali.
Non abbiamo ricevuto alcun ascolto. Morti sul lavoro, precariato, impoverimento crescente, effetti concreti della crisi sulle condizioni materiali di vita degli italiani: la Commissione di indirizzo e vigilanza non riteneva, né ritiene oggi che queste faccende la riguardino. E’ convinta al contrario che le proprie funzioni debbano limitarsi a una stucchevole disamina del minutaggio concesso dai vari Tg alle diverse forze politiche e all’occhiuto controllo sull’equilibrio degli inviti dei vari leader nei talk show televisivi. E’ la politica italiana, bellezza!
In questo caso, poi, non si possono neppure addurre ad alibi le dure leggi del mercato televisivo. Quello italiano è un caso tanto estremo quanto unico. Non c’è nessun’altra televisione, in Europa, in cui la sproporzione tra lo spazio dedicato alla politica di palazzo e a quella legata alla società reale sia altrettanto immensa. Non è affatto esagerato, dunque, parlare di un uso “privato” del servizio pubblico da parte del ceto politico nel suo complesso.
In questa ormai incancrenita situazione temo che sarebbe però un inutile spreco d’energie sfiatarsi chiedendo il ripristino delle funzioni originali di indirizzo per assolvere alle quali la Commissione era nata. E’ sin troppo facile prevedere che tutto si risolverebbe in uno sfoggio di ottime intenzioni destinate a rimanere lettera morta. Sarebbe forse più utile chiedersi con onestà se sia davvero il caso di mantenere in vita un ente di fatto inutile quando non dannoso e controproducente. Il compito di sorvegliare, cronometro alla mano, telegiornali e talk show può essere tranquillamente svolto da un comitato all’interno delle Commissioni cultura delle due camere, senza bisogno di chiamare in causa una stentorea commissione bicamerale.
Si potrebbe invece pensare a un organismo di tipo radicalmente nuovo, con all’interno una componente politica affiancata però da una rappresentanza significativa delle forze sociali, a partire dalle organizzazioni sindacali, alla quale affidare, stavolta, precisamente il compito di svolgere una funzione di indirizzo, con l’obiettivo di restituire visibilità alla società italiana, alla vita reale delle donne e degli uomini di questo paese, e a una politica non più intesa come sfera separata ma collegata e rapportata a quel governo della società che è, o meglio dovrebbe essere, la sua stessa ragione di esistere. Se ne avvantaggerebbe il servizio pubblico. Se ne avvantaggerebbe ancor di più la politica stessa.

Fonte: Articolo21, ilManifesto

Novembre, 2008

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