Declino e privilegi


Mario Pianta


L’economia italiana ha smesso di crescere, la produttività del lavoro diminuisce, la base produttiva perde pezzi, non si annunciano stimoli alla domanda che non siano i consumi opulenti dei più ricchi e opere pubbliche inopportune. Ma non sempre i privilegi sono da nascondere…


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Declino e privilegi

Come si salvano i privilegi quando l'economia declina? E' da questo punto di vista che potremmo guardare alla politica economica del governo Berlusconi. I privilegi del Cavaliere vengono prima di tutto, si sa, ma sono fin troppo noti. Occupiamoci invece dei privilegi dei suoi grandi e piccoli elettori: la rendita immobiliare, la finanza, le imprese, fino al popolo della libertà di evasione fiscale.
L'economia italiana ha smesso di crescere, la produttività del lavoro dimininuisce (caso unico tra i paesi avanzati), la base produttiva perde pezzi, non si annunciano stimoli alla domanda che non siano i consumi opulenti dei più ricchi e opere pubbliche inopportune – Tav, Ponte sullo Stretto, centrali nucleari. Così la torta del reddito si fa più piccola, e calano ancora più in fretta le risorse che passano tra le mani dello stato.
Di alcuni effetti del declino si occupa il mercato, cioè le imprese: sul mercato del lavoro diminuisce l'occupazione, soprattutto i lavori a medie qualifiche, e i salari nominali crescono in genere con l'inflazione programmata all'1,7%, quando sul mercato dei beni i prezzi aumentano del 3,6%: la torta più piccola rimpicciolisce soprattutto le fette dei salariati, facendo dell'Italia uno dei paesi europei con le maggiori diseguaglianze di reddito.
Altri effetti del declino passano per una spesa pubblica che ora – se escludiamo il servizio del debito pubblico – è pari appena al 30% del Pil (cinque punti in meno di dieci anni fa) e che sarà tagliata dalla manovra triennale del governo di 30 miliardi di euro nella scuola, nella salute, nell'assistenza, nelle pensioni, negli enti locali. Questo assalto al già debole welfare state italiano vuol dire – subito – meno servizi pubblici e più necessità di acquistarli sul mercato, impoverendo gli italiani, ma vuole anche dire, nel lungo periodo, minori prospettive di benessere e crescita del paese. A redistribuire quanto resta delle risorse pubbliche alle regioni più ricche – ed elettoralmente più fedeli – provvederà poi il federalismo fiscale in arrivo. Ma veniamo ai fortunati.
In questi anni l'ascesa alle stelle dei prezzi delle case ha trasferito un ammontare di risorse senza precedenti ai proprietari immobiliari e alle grandi società del settore, mentre per chi possiede la sola casa di abitazione la crescita dei valori resta solo sulla carta. E' questo l'unico settore non ancora colpito dalla crisi, con i prezzi ancora gonfiati (a differenza di Usa e Gran Bretagna). A questi superprivilegiati l'abolizione dell'Ici ha regalato 1,7 miliardi di euro.
La finanza è stata meno fortunata, la crisi delle Borse e dei mutui Usa ha ridimensionato molte ricchezze di carta; così la tassazione sulle rendite finanziarie resta inferiore alla media europea e a quella sui redditi medi di lavoro dipendente (anche per il governo Prodi andava bene così). Un privilegio patrimoniale che si rispetti deve potersi trasmettere di generazione in generazione, e qui un passo importante era già stato compiuto in passato, eliminando la tassa di successione, con l'attiva collaborazione del centro-sinistra.
La recessione internazionale (con una concorrenza estera che cresce) colpisce direttamente le imprese, e ad esse vanno i favori sui bassi salari e i regalini sulla precarizzazione del lavoro – come se questi potessero renderle competitive sui mercati esteri. Più privilegiate sono le imprese che stanno al sicuro dalla concorrenza sul mercato interno – spesso uscite dalle privatizzazioni, anche del centro-sinistra: elettricità e servizi a rete, telecomunicazioni, trasporti, autostrade, costruzioni – che hanno potuto alzare liberamente i prezzi, aumentano l'inflazione e le proprie fette di torta. E' questo il modello a cui guardano i nuovi padroni di Alitalia, l'ultima tra le vittime illustri del declino del paese. La "soluzione" raggiunta ha visto all'opera molti privilegiati per censo o per nobiltà (un elenco bipartisan in tutta evidenza), che si trovano al riparo dei costi della crisi – assorbiti dallo stato – e con un nuovo monopolio privatizzato a disposizione sulle rotte interne, come la ricchissima Milano-Roma.
L'unico pesce grosso con cui il ministro Tremonti ha alzato la voce è stata la rendita petrolifera, introducendo un'addizionale all'imposta sulle imprese del 5%. Ma è un'elemosina su un potere intoccabile: i loro prezzi hanno potuto salire a volontà quando le quotazioni del greggio crescevano e, ora che scendono, il calo non si trasferisce sui prezzi al consumo.
Quanto al "popolo degli evasori" – imprese, professionisti, artigiani, commercianti – non hanno perso tempo: non appena è entrato in carica il governo, le entrate fiscali sono cadute, come mostra l'aumento di questi giorni del fabbisogno del settore pubblico. E, con una strizzata d'occhio, il governo assicura ai contribuenti che le dichiarazioni dei redditi resteranno pubbliche solo per un anno.
Ma non sempre i privilegi sono da nascondere; le vicende dell'estate hanno insegnato che, quando sono esibiti (o sussurrati) nel circo mediatico i privilegi diventano un capitale, dominano la comunicazione, fanno sognare anche i poveri, sono una bacchetta magica che fa apparire principi azzurri anche i rospi. A patto che siano ricchi e potenti.
In questi giorni molti privilegi si concentrano in una villa di Cernobbio, sul lago di Como; contemporaneamente i 50 gruppi della società civile della campagna Sbilanciamoci si incontrano a Torino, nella Mirafiori degli operai e del sindacato. Principi e rospi vogliono rinnovare l'incantesimo che protegge i loro privilegi; tutti gli altri non hanno la bacchetta magica, ma cento proposte concrete che si possono realizzare (sono su www.sbilanciamoci.org e www.sbilanciamoci.info) per costruire un'alternativa al declino e un'economia meno ingiusta, più solidale, più sostenibile.

Di Mario Piant, Università di Urbino

Fonte: il Manifesto

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