Caso Zimbabwe: nei negoziati anche il nodo della riforma agraria


Misna


Costruire una società fondata sulla “giustizia”, l’“apertura” e l’“uguaglianza”: tra gli “impegni” principali dell’accordo che regola i negoziati tra governo e opposizione dello Zimbabwe, questo obiettivo ruota anche attorno al nodo della riforma agraria.


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Caso Zimbabwe: nei negoziati anche il nodo della riforma agraria

Costruire una società fondata sulla “giustizia”, l’“apertura” e l’“uguaglianza”: tra gli “impegni” principali dell’accordo che regola i negoziati tra governo e opposizione dello Zimbabwe, questo obiettivo ruota anche attorno al nodo della riforma agraria. Dall’inizio dei colloqui di Pretoria la scorsa settimana, l’importanza del problema è evidenziata soprattutto dai media di Harare ma anche dalla stampa internazionale; non solo negoziati in vista della formazione di “un governo di unità”, dunque, ma anche tentativo di comporre interessi divergenti sui temi più concreti della vita nazionale. Per comprendere l’entità della posta in gioco, bastano alcuni dati statistici:fino al 2000, 11 milioni di ettari di terra di buona qualità erano di proprietà di circa 4500 cittadini di origine europea e gli altri 16 milioni di ettari coltivati, per lo più in zone colpite da siccità e a resa inferiore, erano divisi tra un milione di neri; le aziende dei cosiddetti farmers "bianchi" erano in media 153 volte più estese delle unità produttive possedute da agricoltori indigeni. La riforma agraria figurava al primo posto del programma di Robert Mugabe prima che, nel 1981, fosse eletto presidente del nuovo Zimbabwe post-apartheid; era parte significativa dei cosiddetti "Accordi di LAncaster House" con cui Londra si impegnava a finanziare e facilitare l'operazione. Errori e resistenze interne, ma anche pressioni esercitate dagli ex-colonizzatori inglesi, hanno per circa 20 anni ostacolato qualsiasi seria ridistribuzione delle terre. Vennero poi i tempi dell'occupazione delle aziende bianche da parte dei "reduci" della guerriglia degli anni '70 (con scontri che fecero vittime su entrambi i fronti), seguiti da una riforma agraria controversa e inefficace, uno dei motivi dell'attuale drammatica stuazione economica del paese. Quale sia oggi la vera distribuzione delle terre non è facile da stabilire, ma le accuse di corruzione e malagestione dei terreni entrati nella riforma sono state molteplici. Vero è che la gestione delle terre è stata scadente anche perchè ostacolata da inesperienza dei nuovi proprietari e crescente impossibilità di acquistare all'estero semi, fertilizzanti e attrezzature necessarie per una buona conduzione agricola. Attorno alla crisi politica ed economica di Harare si sono sempre mossi e continuano a muoversi attori esterni, con Stati Uniti e Unione Europea pronti ad adottare sanzioni contro il governo e società di stato, anche in coincidenza con l’avvio dei negoziati di Pretoria. E’ la stessa questione della terra, in realtà, ad avere una dimensione internazionale. Oltre che "di principio" per il vecchio Mugabe che ha voluto e tuttora vuole ridare tutta la terra possibile alla gente dello Zimbabwe. Ad Harare pochi hanno il coraggio di contestare un intervento a garanzia degli strati sociali più deboli, ma sui modi e i tempi della riforma si continua a discutere. “Esiste un accordo generale sul fatto che la riforma agraria costituisce un’urgente priorità – disse a suo tempo l’inviato speciale dell’Onu, Mark Malloch-Brown -non solo per il governo ma anche per la popolazione, l’intera regione dell’Africa meridionale e la più vasta comunità internazionale”. Anche di questo il presidente Mugabe deve ampiamente discutere con il presidente sudafricano Thabo Mbeki, principale mediatore della crisi.

Fonte: Misna.org

1 agosto 2008

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