“Bush azzoppato prepara l’attacco”


Michelangelo Cocco


Intervista al politologo Marcus Raskin, che guarda con un misto di paura e speranza al periodo pre elettorale negli Stati Uniti e agli anni che si parano davanti alla prossima Amministrazione. Afferma: "Iran nel mirino".


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“Bush azzoppato prepara l’attacco”

Marcus Raskin guarda con un misto di paura e speranza al periodo pre elettorale negli Stati Uniti e agli anni che si parano davanti alla prossima Amministrazione. Pessimismo perché Bush, attaccando l’Iran, lascerebbe in eredità al nuovo capo dello stato una guerra allargata, ottimismo per la possibilità che i movimenti sociali, unendosi, potrebbero spostare a sinistra Barack Obama, qualora il senatore nero finisse alla Casa Bianca. Abbiamo discusso col 74enne politologo, professore alla Gorge Washington University e fondatore del progressista Institute for policy studies (www.ips-dc.org) nel corso di un suo recente soggiorno a Roma.

Professor Raskin, ritiene possibile che l’Amministrazione repubblicana, in crisi di consenso, si lanci in una nuova avventura militare, attaccando l’Iran?
Bush ha detto chiaramente che, prima del 20 gennaio 2009 (quando passerà ufficialmente il testimone al suo successore, ndr) intende fare tutto ciò che ritiene necessario. E il presidente ha sempre dichiarato di voler cambiare il volto del Medio Oriente. È pronto a un nuovo conflitto, perché concepisce la guerra come parte della tradizione americana e degli Stati Uniti come stato guerriero. Dopo l’11 settembre 2001, per giustificare gli attacchi preventivi ha utilizzato il concetto di “vittima”. Si tratta di una novità: dalla seconda guerra mondiale fino agli attacchi terroristici contro New York e Washington non era stato possibile sfruttare con successo l’idea che gli Usa fossero vittime. Certo Bush ha perso potere, la gente non gli crede più, ma se il presidente deciderà di bombardare, i militari lo seguiranno. Se Israele bombarderà l’Iran, avrà l’appoggio degli StatiUniti, repubblicani e democratici insieme. Insomma il presidente che prenderà il potere il 20 gennaio prossimo potrà trovarsi di fronte a una situazione terribile con una guerra che si espande.

Cosa è l’assedio contro le quattro libertà di cui parla nel suo libro “The four freedom under siege”?
La povertà, le diseguaglianze crescenti, la segretezza del governo e il controllo sui cittadini stanno mettendo in pericolo le libertà (d’espressione, di religione, libertà dal bisogno e dalla paura) enunciate dal presidente Roosevelt nel 1941, prima dell’ingresso in guerra. Ma parallelamente al discorso sulle libertà è sempre stato inserito quello secondo i quale bisognava mobilitare la popolazione attraverso la guerra: guerra contro la povertà, guerra contro il cancro e così via. A partire dai primi anni ’30 nelle nostre menti c’è sempre stata guerra contro qualcosa. Uno stato guerriero che, nello stesso tempo, garantiva i diritti individuali e la possibilità di affermazione.

Il governo delle destre guidato da Berlusconi promette a Washington più impegno in Afghanistan. Qual è la situazione per gli Usa sul primo fronte della cosiddetta “guerra al terrorismo”?
Sia Barack Obama che John McCain propongono di aumentare la presenza militare in Afghanistan. La sconfitta degli imperi britannico e russo non ci hanno insegnato nulla, perché gli Usa credono di fare la storia e di non avere nulla da imparare dalla storia: un principio che ha causato molto errori strategici (come combattere la guerra) e morali (perché combatterla). Tutti i governi – anche quelli che gli sono ostili – ritengono gli Stati Uniti una “potenza indispensabile”. Ma una nuova generazione sta diffondendo un altro sentimento, quello della non violenza, della costruzione di movimenti dal basso, dell’importanza di mettere assieme gruppi che finora non hanno comunicato. Migliaia di neri, donne, bianchi che hanno a cuore le battaglie dei poveri contro il 20% più ricco del pianeta e per l’ambiente. Se nel corso dei prossimi cinque anni questi movimenti si uniranno, gli Usa svolteranno a sinistra proprio mentre altri paesi si spostano a destra. È probabile, ad esempio, che – se eletto presidente – Obama avrà meno rapporti con Berlusconi e Sarkozy e più relazioni con i governi dell’America latina.

Perché l’Afghanistan è così importante per gli Stati Uniti?
La guerra in Iraq, in quanto “guerra preventiva” viene criticata anche da molti membri democratici del Congresso, che la giudicano immorale e non necessaria. L’Afghanistan invece è visto come un posto dove avremmo dovuto intervenire prima, per controllare gli oleodotti che passano per quel paese da cui non ci si può ritirare, perché apparirebbe come una fuga e gli Usa, in periodo di crisi, sembrerebbero ancora meno credibili. Inoltre quella in Afghanistan viene propagandata come una guerra di “civilizzazione”, in cui gli Stati Uniti e l’Occidente hanno la possibilità di “educare” una parte del mondo islamico, ovviamente anche questa guerra contribuisce a giustificare l’enorme livello si spese militari.

L’America cambierà sia con Obama che con McCain?
Credo che il cambiamento possa prodursi sia che ad essere eletto sia un democratico sia un repubblicano. C’è la possibilità di un nuovo impegno per ridurre, in accordo con i russi (assieme a loro abbiamo il maggior numero di testate), gli armamenti nucleari. Ed è possibile che Washington ponga nell’agenda mondiale l’obiettivo della non proliferazione. Ma se Bush o gli israeliani intraprenderanno una guerra contro l’Iran – sfruttando il pretesto che la repubblica islamica sta costruendo un arsenale mentre Washington sa che Tel Aviv ha l’atomica – ci sarà solo un disastro.

Fonte: il Manifesto

11 giugno 2008

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