Bombe a grappolo, il bando è lontano. I grandi produttori contro il trattato
Francesca Marretta
Al via a Dublino la conferenza per l’eliminazione delle cluster bombs. Le assenze di Usa e Israele; i dubbi di Londra, Parigi, Mosca.
La guerra in Libano era finita da poche settimane. Quando non c’era scuola il passatempo di Mohammed e suo fratello, insieme ai cugini, era osservare la pala della scavatrice tirar fuori dalle macerie delle case distrutte dai bombardamenti israeliani per stanare le basi di Hezbollah, pezzi di cucina, piastrelle, bulloni. Tesori che solo i giochi dei bambini permettono di apprezzare. Il sole si avvicina allo zenit nel villaggio di Sawane, a sud del Libano. I cinque ragazzini trovarono riparo dalla calura secca mediorientale sotto un albero. Le vibrazioni della pala meccanica scossero i rami. La bomba a grappolo che aveva fatto cilecca nei giorni della guerra, rimasta incastrata tra il fogliame, finì scaraventata al suolo. Le munizioni del grappolo di morte schizzarono in ogni direzione. Il metallo rovente trapassò il collo e il petto di Mohammed Hassan Sultan. Altri pezzi di bomba ferirono alle gambe suo fratello Ahmad di sedici anni ed i cugini Abbas, Hussein, Jamil e Hilal.
Così, in una frazione di secondo, la mattina del 27 settembre 2006, è finita la vita di un ragazzino libanese, ucciso da una bomba a grappolo o cluster bomb, residuo di un conflitto finito.
Come Mohammed, secondo dati delle Nazioni Unite, negli ultimi trent’anni, sono morte o rimaste mutilate da cluster bomb oltre 13mila persone. Secondo uno studio dell’organizzazione Handicap International ogni giorno avviene da qualche parte del pianta almeno un’esplosione provocata da bombe a grappolo. Le vittime sono quasi esclusivamente civili (98%), un quarto delle quali bambini. Le Cluster bomb, impiegabili sia dall’artiglieria che dall’aviazione, sono progettate per dividersi in volo ed esplodere all’impatto del suolo. Contengono fino a seicento proiettili esplosivi detti bomblets, scagliati per un raggio di diverse centinaia di metri. Fino al 40% di tali ordigni, utilizzati in almeno ventidue paesi, possono restare inesplosi, trasformandosi in mine capaci di uccidere e mutilare per diversi anni.
Per farla finita con l’utilizzo di queste armi micidiali che fanno strage di civili si è aperta ieri a Dublino la Conferenza per la messa al bando delle bombe a grappolo, a cui partecipano delegati provenienti da un centinaio di paesi e diverse organizzazioni non governative. Obiettivo dei delegati che si riuniranno ogni giorno allo stadio di Dublino fino alla fine del mese, è arrivare alla firma di un Trattato Internazionale vincolante che proibisca l’uso di queste bombe. Si tratterebbe del più importante trattato sul disarmo dai tempi dell’accordo di Ottawa, che dieci anni fa mise al bando le mine anti-persone. Gli incontri di Dublino completano un percorso avviato lo scorso anno ad Oslo, dove 46 paesi, tra cui l’Italia, hanno concordato sul divieto a partire dal 2008, di “utilizzare, produrre, trasferire e accumulare” bombe a grappolo. A febbraio 2008, ottantuno Paesi hanno sottoscritto la Dichiarazione di Wellington, che fa da bozza al testo del Trattato vincolante da approvare a Dublino.
Non partecipano alla conferenza Stati Uniti, Russia, Israele, Cina e Pakistan, paesi contrari alla messa al bando di questi ordigni, di cui sono anche produttori.
Per il governo israeliano l’impiego di cluster bomb nell’ultima guerra contro il Libano era “necessario” per dare una “risposta immediata” ai lanci di razzi da parte di Hezbollah. In trentaquattro giorni di conflitto, secondo le Nazioni Unite, l’esercito israeliano ha sganciato sul territorio libanese quattro milioni di bombe a grappolo. Un milione restano inesplose.
Secondo il Comitato Internazionale della Croce Rossa vivono oggi in aree ancora contaminate da cluster bom, come Iraq, Afghanistan, Libano e Cecenia, 400 milioni di persone.
Non sono solo gli assenti alla conferenza di Dublino a remare contro la totale messa al bando delle cluster bomb. Giappone, Romania e Polonia, ad esempio non hanno firmato la Dichiarazione di Wellinghston. Più ipocrita l’atteggiamento di alcuni paesi firmatari come Regno Unito, Danimarca, Francia, Germania, Giappone, Olanda, Svezia, Svizzera e secondo l’interpretazione del trattato di Wellinghston da parte della Campagna italiana contro le mine, anche l’Italia, che pongono condizioni che ostacolano un’intesa netta sul bando. Alcuni governi sono per eliminare solo certi tipi di ordigno a grappolo, altri chiedono tempo per la distruzione delle scorte, altri parlano della necessita di un periodo di transizione al bando per consentire l’uso di cluter bomb nelle operazioni militari congiunte con Paesi che non sottoscriveranno l’accordo. Quest’ultimo è il caso della Gran Bretagna. Per Londra un’ effettiva adesione alla messa al bando costituirebbe un problema per le operazioni con gli americani in Iraq o Afghanistan. E Washinghton preme sul governo Brown per ottenere il mantenimento dello status quo. Ieri The Indipendent ha scritto che Londra è il principale ostacolo sulla strada di un accordo per la messa al bando delle bombe a grappolo. Il ministero della Difesa britannico insistere per mantenere l’uso di cluster bomb di ultima generazione, le immancabili “bombe intelligenti”, che sarebbero dotate di un “ fattore mitigante”, come le bombe M85 che dovrebbero autodistruggersi in caso di mancata esplosione all’impatto al suolo, minimizzando il rischio di “danni collaterali”. Secondo dati delle Nazioni Unite, nonostante la provata intelligenza di tali ordigni, almeno 300 civili sono morti nel Libano meridionale quando Israele ha utilizzato questo tipo di munizioni.
Paradossalmente, pressioni sull’esecutivo britannico per l’adesione totale della messa al bando delle cluster bomb, arrivano dagli ambiti militari. Ieri The Times ha pubblicato una lettera firmata da nove ex alti ufficiali britannici, tra cui l’ex Capo di stato maggiore Lord Edwin Bramall. In cui si legge: “ Se dobbiamo essere accettati come legittimi utilizzatori della forza, allora dobbiamo dimostrare la nostra determinazione nell’impiegare tale forza nel modo più responsabile”.
In apertura della Conferenza, Grethe Ostern, portavoce della Cluster Munitions Coalition (Cmc), rete di oltre 200 associazioni della società civile mondiale, ha sottolineato che quella di Dublino è un’occasione unica, perché “ogni ritardo nella messa al bando delle bombe a grappolo vuole dire un numero sempre maggiore di civili uccisi mutilati”.
Fonte: Liberazione
20 maggio 2008