La Birmania chiede di nuovo aiuto
Cecilia Brighi
Un’ecatombe. Si temono più di cinquantamila morti. Un paese in ginocchio. Centinaia di migliaia di persone sono rimaste senza tetto, senza acqua, senza cibo e senza prospettive.
Una catastrofe naturale e umanitaria senza precedenti in un paese già martoriato da decenni di durissima dittatura militare. Un paese in ginocchio. Oltre 24 milioni di persone, quasi la metà della popolazione birmana sopravvive da sempre nella regione del delta dell’Irrawaddy. Il grande fiume birmano, circondato da villaggi di pescatori e contadini. Anche la ex capitale birmana Rangoon è stata colpita duramente dal ciclone. Centinaia di migliaia di persone sono rimaste senza tetto, senza acqua, senza cibo e senza prospettive.
Anche il famigerato carcere di Insein a Rangoon, dove sono detenute migliaia di persone tra cui centinaia di prigionieri politici è stato colpito dal ciclone che ha scoperchiato i tetti di una parte degli edifici. L’emergenza umanitaria è drammatica
Se la situazione non fosse così catastrofica, ci sarebbe di che ridere. Purtroppo però nel paese con un esercito di oltre 500.000 soldati: tra i primi 15 al mondo per dimensione del settore difesa il regime sembra essersi dileguato.
Tutto intenta confermare il suo referendum che si terrà il 10 maggio prossimo per l’approvazione della costituzione scritta a sua immagine e somiglianza, la giunta ha concesso solo 14 giorni in più per gli abitanti delle zone colpite dal ciclone. Infatti, per gentile concessione, in questa regione il referendum è stato spostato al 24 maggio prossimo.
Un segnale chiaro di come non riesca neanche in questa situazione a pensare minimamente al bene del suo popolo.
Un esercito che ha continuato a reclutare forzatamente migliaia di giovani e di bambini soldato durante e dopo la repressione delle pacifiche manifestazioni dell’autunno scorso, oggi si è squagliato come la neve al sole. Le strade a quattro giorni dal ciclone continuano ad essere completamente ostruite dai detriti e dagli alberi caduti. La gente vaga senza poter trovare alcuna forma di assistenza. Mentre durante lo tsunami la giunta aveva rifiutato gli aiuti internazionali oggi, considerate le dimensioni devastanti del ciclone ha dovuto arrendersi e ha chiesto il sostegno delle organizzazioni internazionali della famiglia dell’ONU.ma questi aiuti potranno essere convogliati solo attraverso il governo e le proprie organizzazioni. Ad oggi poi rimane incerta la possibilità per i funzionari ONU di poter ottenere i visti di accesso al paese. E ancor più difficile rimane ottenere informazioni sulla dimensione delle zone colpite e sul numero delle persone coinvolte. Un quadro veramente terribile rispetto al quale l’opposizione democratica birmana a partire dal Consiglio Nazionale dell’Unione Birmana: NCUB hanno lanciato appelli alla comunità internazionale per chiedere aiuto. La CISL ha raccolto questo appello e ha lanciato una raccolta fondi che verranno destinati alle vittime attraverso le organizzazioni sindacali clandestine e il Consiglio Nazionale dell’Unione Birmana. Infatti se le restrizioni imposte dalla giunta rimarranno tali, si porrà un grosso problema di trasparenza nella gestione degli aiuti. Tutti sanno come funzionano in Birmania le organizzazioni gestite dal regime. Tutti conoscono il livello di corruzione. Un paese che era considerato la ciotola di riso dell’Asia e che prima del ciclone era stato piegato dalla miseria e dall’abbandono oggi è prostrato dal dolore e dalla disperazione di questa tragedia. Alcune settimane fa è stato lanciato un appello in vista del referendum per sostenere la riapertura di 4 radio che operano clandestinamente in Birmania. Nessuno o quasi ha raccolto questo appello. Oggi speriamo che la solidarietà italiana si faccia viva e si svegli dal torpore in cui cade ogni qual volta si esce da una situazione di emergenza. Tutti a settembre scorso erano diventati un pochino birmani. Poi si è passati ad altro. Oggi la Birmania bussa di nuovo alla nostra porta. Dobbiamo augurarci che qualcuno apra e contribuisca nel modo giusto a far arrivare dove serve veramente un contributo finanziario ma anche politico. Per questo è bene chiedere che gli aiuti dati dalla UE vengano devoluti anche alle organizzazioni dell’opposizione birmana, per due ordini di motivi. Uno politico: bisogna dare il segnale che in quel paese non c’è solo la giunta militare, l’altro pratico: questo è anche un modo per far arrivare a tutti, indistintamente dalla loro appartenenza politica, il sostegno necessario a rimettere in piedi il paese.
Fonte: Articolo21