Scontri in Tibet, prime sentenze. Decise pene fino all’ergastolo
Repubblica.it
Condannate 17 persone coinvolte nelle proteste anti-cinesi di marzo. La Cina accusa i manifestanti di aver ucciso almeno 18 "civili innocenti".
PECHINO – Dopo gli arresti, le condanne. La giustizia cinese ha emesso le prime sentenze nei processi alle persone coinvolte nelle manifestazioni contro Pechino del marzo scorso a Lhasa, la capitale del Tibet. Le pene inflitte sono durissime e, in alcuni casi, arrivano persino all'ergastolo.
La decisione, dice l'agenzia Nuova Cina, è stata presa da un tribunale di Lhasa, che ha giudicato 17 persone. La Cina sostiene che i manifestanti hanno provocato la morte di almeno 18 "civili innocenti" e di un poliziotto. Accusati di aver preso parte agli scontri, gli imputati sono stati condannati a pene che vanno dai tre anni di reclusione all'ergastolo. La sentenza è stata annunciata durante una seduta pubblica, alla quale hanno assistito circa 200 tra monaci buddisti e comuni cittadini.
Quelle di oggi sono solamente le prime decisioni dei giudici cinesi sugli scontri dello scorso mese. Altre condanne sono attese nelle prossime settimane. Non è chiaro quanti siano i tibetani in attesa di processo per la rivolta: la Cina sostiene che ne sono stati arrestati 400 solo a Lhasa, ma i gruppi in esilio parlano di oltre 2.000 persone finite in manette.
Le proteste anti-cinesi nella capitale del Tibet erano iniziate il 10 marzo, nell'anniversario della rivolta contro la Cina del 1959. Quattro giorni più tardi la situazione è degenerata e le manifestazioni si sono estese anche in altre regioni. Pechino ha accusato il Dalai Lama di aver fomentato la rivolta per boicottare le Olimpiadi, mentre le autorità tibetane in esilio sostengono che la repressione cinese ha causato la morte di più di 150 persone.
Fonte: Repubblica.it
29 aprile 2008