21 paesi colpiti. Il flagello alimentare s’abbatte sull’Africa
Angelo Ferrari
I prezzi del riso potrebbero aumentare di oltre il cinquanta per cento. Le conseguenze sarebbero terribili. Per la Fao: "I paesi ricchi devono Fare un passO indietro, adesso".
L’ Africa soffre la fame. Sembra non essere una novità. Eppure il crescere smisurato del riso e dei cereali, sommati alla loro scarsità, mettono ulteriormente in ginocchio milioni di persone e, in particolare, mina la stabilità e la pace di molti paesi dell’ Africa subsahariana.
Sono 21 le nazioni colpite dalla crisi alimentare. La Fao, che ha lanciato l’ allarme, ha promosso un’ iniziativa per offrire assistenza tecnica ai governi e programmi specifici per incentivare la produzione agricola dei contadini più poveri, a cominciare da Burkina Faso, Mauritania, Mozambico e Senegal. Paesi, questi, dove l’aumento dei prezzi ha provocato disordini diffusi e costretto i governi a schierare la polizia a difesa dei magazzini di generi alimentari.
Secondo i dati diffusi dalla Fao, il costo del riso potrebbe aumentare fino al 56 per cento nell’ anno in corso, come è già aumentato del 37 per cento tra il 2006 e il 2007. Nei paesi africani a basso reddito e con insufficiente produzione agricola, i prezzi potrebbero salire del 74 per cento. Un dato ancora più preoccupante, se affiancato a quello che vede i cittadini dei paesi industrializzati spendere circa il 20 per cento del loro reddito per acquisti alimentari, a fronte del 60- 80 per cento del salario destinatovi dagli abitanti dei paesi in via di sviluppo. Le tensioni sociali stanno dilagando in molti paesi, dall’Egitto al Camerun, dalla Costa d’Avorio al Senegal, dal Burkina Faso all’Etiopia. E la situazione è ancor più grave perché i disordini maggiori avvengono in nazioni considerate stabili, come il Senegal. Altrove, come in Somalia, la crisi umanitaria sta peggiorando ad un ritmo più veloce di quanto previsto. A pesare sulla vita dei somali, oltre alla cronica insicurezza politica e a una stagione particolarmente secca, ci si è messo anche il carovita e l’aumento dei beni alimentari di base. La Somalia è uno dei maggiori consumatori di pasta. Secondo gli ultimi resoconti delle agenzie umanitarie il numero di somali che vivono in stato d’emergenza umanitaria è salito in poche settimane da 315mila a 425mila, mentre i “nuovi sfollati” sono passati da 700mila a 745mila. In Somalia il prezzo del mais e del sorgo prodotto a livello locale sono aumentati del trecento, quattrocento per cento, mentre il cibo importato, come riso e olio vegetale, è salito del 150 per cento. E la ciliegina è il deprezzamento dello scellino somalo: meno 65 per cento. Jacques Diouf, dice: “se i paesi ricchi non faranno un passo indietro di almeno vent’anni per correggere politiche di sviluppo errate , le proteste contro l’aumento dei prezzi e la mancanza di cibo non si fermeranno”. Bisogna fare in fretta. Non c’è tempo da perdere. E Diuof cita l’esempi del Kenya:” Quando è scoppiata la crisi delle locuste in Kenya, l’anno scorso sarebbero bastati due milioni di dollari per stroncare il problema, ma non c’erano i soldi, le organizzazioni internazionali sono arrivate tardi e la crisi è costata 60 milioni”. Ma fare in fretta potrebbe non bastare. A detta di Diuof occorre ripensare le politiche “selvagge” per il biodiesel. Un problema sottolineato con forza anche da Jean Ziegler, relatore speciale dell’Onu per il diritto all’alimentazione. “La produzione massiccia di biocarburanti è un crimine contro l’umanità”, stigmatizza Ziegler , che affronta inoltre un tema che fino a qualche anno fa era caro a i no global e cioè il problema delle sovvenzioni all’agricoltura. Secondo Ziegler l’agricoltura deve essere sovvenzionata nei settori in cui “ assicura la sopravvivenza delle popolazioni. L’UE finanzia l’esportazione dei prodotti in eccedenza sui mercati africani, dove vengono venduti alla metà o a un terzo del loro prezzo. Questo determina la rovina dell’agricoltura locale”. Se ci si reca nei mercati di Tokyo si può trovare pesce senegalese a Dakar non è difficile comprare dei bei pomodori rossi europei che costano molto di meno rispetto alla produzione locale. Questo è un vero paradosso. E c’è, infine, chi, come padre Alex Zanotelli, suggerisce di usare interessi sul debito per iniziative che possano calmierare i prezzi. “ Con i circa 100 milioni di dollari di interessi per il debito che i paesi del sud del mondo devono pagare ogni giorno – sottolinea Zanotelli- si potrebbe attuare in tempi rapidi iniziative concrete per calmierare i prezzi e programmi di rafforzamento della produzione agricola con cui fronteggiare la scarsità dei cereali, limitare le importazioni e opporsi alle speculazioni dei mercati internazionali. Perché, per i poveri, come ricordo di aver personalmente sentito già molti anni fa dal tanzaniano Julius Nyerere, pagare il debito, è immorale”.
Fonte: Europa
16 aprile 2008