Il Natale buio di Aleppo


Federica Iezzi - Nena News


Nella città contesa la popolazione vive allo stremo: manca il cibo, manca l’elettricità, le macerie invadono le strade.


CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+
natalesiria

 

“Non fa differenza vivere nei quartieri sotto il controllo delle forze armate di regime o in mano ai ribelli. Viviamo tutti sotto le bombe. E non c’è elettricità”. Risuonano come un monito le parole di Fathi, nell’aria stranamente silenziosa di Aleppo.

Ci sono alcuni momenti durante la giornata che sembra di vivere in una città deserta. Quasi non si avverte, dopo giorni, il disturbo di fondo dei generatori perennemente in funzione. E i rumori quando ricompaiono sono quelli della distruzione, dei crolli, delle esplosioni. Perfino i bambini li riconoscono. Ad Aleppo. Per secoli centro nevralgico di una Siria ormai lontana.

Nei quartieri in mano al gruppo qaedista Jabhat al-Nusra, si lavora continuamente per riparare servizi elettrici, idrici e fognari. E la scena si ripete ovunque. La città è un eterno cantiere. Al buio. “Siamo senza corrente elettrica per almeno 20 ore al giorno. Spesso durante la giornata può mancare del tutto”, continua Fathi. “La linea di alimentazione per le aree controllate dai ribelli è la stessa linea di quella delle aree controllate dal regime. Parte dalla stazione di Hama”. L’unica linea elettrica ad alto voltaggio passa a sud-ovest di Aleppo, nella stazione di Mahardeh, controllata dal governo siriano, e in quella di Zurbah, controllata dai ribelli.

Le forze ribelli dominano la maggior parte dei quartieri settentrionali, orientali e meridionali di Aleppo. Le forze del regime controllano invece i distretti ad ovest. Fuori Aleppo, i ribelli mantengono il potere sui territori a nord, ovest e sud, mentre le forze governative si trovano immediatamente ad est e sud della città. Gli scontri tra regime e forze ribelli dal 2012 hanno lasciato ad Aleppo, l’ombra distrutta del suo centenario souq, centinaia di migliaia di residenti sfollati, quartieri ridotti in macerie, solo polvere sui muri di scuole, moschee e chiese, civili intrappolati nella lotta quotidiana alla ricerca di acqua, cibo e energia.

Qamar, la moglie di Fathi, ci racconta “Prima riuscivo almeno a conservare piccole scorte di carne, latticini e altri alimenti in frigorifero. Non dovevo uscire tutti i giorni sotto le bombe per dar da mangiare ai nostri figli. Adesso senza elettricità per così tante ore come si fa?”. Continua “L’embargo internazionale inoltre impedisce ogni possibilità di esportazione, così i prezzi sono saliti alle stelle”.

In città ci sono generatori in grado di fornire energia elettrica quotidiana a 200 case. Il combustibile è diventato molto costoso. Le famiglie pagano una somma mensile rispetto a quante ampere di elettricità consumano. Per tutti quelli che non possono pagare, la vita continua senza luce. E quelle persone sono abituate all’oscurità.

A pochi metri dalle milizie armate, alcune auto si trasformano in taxi semplicemente attaccando su un fianco un foglio bianco con su scritto “taxi”. I minibus hanno i finestrini sostituiti con la plastica, perché i vetri sono saltati con i bombardamenti. Le saracinesche dei negozi sono abbassate e deformate, ma i venditori ambulanti non si arrendono e continuano a distribuire i loro prodotti a poche lire.

Da quando l’Esercito Siriano Libero ha fatto il suo ingresso ad Aleppo, nella metà del 2012, la città è diventata amore e guerra, infanzia e morte, dolore e sofferenza. Bombardata ogni giorno dai barili esplosivi governativi e rivendicata dallo Stato Islamico. Rifugio per persone innocenti, distrutte dalla disabilità. Tutto dimenticato. Presi di mira indistintamente i quartieri di al-Sukkari, al-Maghayir, al-Mashhad, al-Sha’ar, al-Qatirji. Su strade piene di vita improvvisamente si riversano solo sangue e urla disperate.

Sono commoventi le decorazioni di Natale sulle porte di edifici semidistrutti, mentre gli attacchi aerei continuano a martellare Aleppo. “Luoghi di culto, piazze e case sono sempre di più gli obiettivi dei bombardamenti” ci racconta Bassel. “E di solito i raid aerei sono su quattro o cinque luoghi diversi contemporaneamente”.

Imprigionate nelle case rimaste in piedi, le famiglie si riuniscono per il pranzo di Natale. Non importa se si è parenti. Chi sopravvive tra pianti e bombe diventa un fratello. Tutti portano qualcosa, baba ghannouj, hummus, baklava, meze platters, e alla fine si riesce a mangiare.

 

Fonte: http://nena-news.it

26 dicembre 2015

 

CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+

Lascia un commento