Obama «richiama» Renzi. E lui scatta sull’attenti


Centro di Ateneo per i Diritti Umani dell'Università di Padova


Afghanistan: malgrado 14 anni di fallimenti, gli Usa rimandano il loro disimpegno. Gli alleati, Italia in testa, s’accodano.


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Obama chiama. Renzi, sull’attenti, risponde. Più rea­li­sta del re. Più veloce degli altri alleati degli Stati Uniti. Gio­vedì scorso Obama ha annun­ciato la deci­sione di pro­lun­gare la pre­senza dei sol­dati ame­ri­cani in Afgha­ni­stan oltre il 2016, chie­dendo l’impegno degli alleati affin­ché si alli­neas­sero alle deci­sioni di Washing­ton. Il giorno suc­ces­sivo, da Vene­zia, il pre­si­dente del Con­si­glio ita­liano gli ha rispo­sto. Già alli­neato. «L’Italia è un grande Paese, stiamo valu­tando in que­ste ore la richie­sta ame­ri­cana di pro­se­guire per un altro anno», ha dichia­rato Renzi, per il quale, «se l’impegno ame­ri­cano in Afgha­ni­stan pro­se­gue, penso sia giu­sto che anche da parte nostra ci sia un impe­gno. Stiamo ragio­nando sull’ipotesi di pro­se­guire nel nostro impegno».La deci­sione di Obama era attesa: nel discorso alla Casa Bianca di gio­vedì scorso, il pre­si­dente Usa ha annun­ciato che gli attuali 9.800 sol­dati che ope­rano in Afgha­ni­stan non rien­tre­ranno in patria alla fine di quest’anno, come pro­messo, ma reste­ranno per gran parte del 2016. Ver­ranno gra­dual­mente ridotti a 5.500 a par­tire dal 2017, con due com­piti prin­ci­pali: adde­strare le forze di sicu­rezza afghane, che Obama con­si­dera «non ancora solide quanto dovreb­bero», e soste­nere le ope­ra­zioni di con­tro­ter­ro­ri­smo «con­tro ciò che rimane di al-Qaeda». La replica di Renzi è arri­vata pun­tuale, pre­ve­di­bile quanto la subal­ter­nità dell’Italia all’alleato ame­ri­cano in poli­tica estera: «Noi abbiamo sce­nari di guerra molto com­pli­cati» e abbiamo il dovere di inter­ve­nire, ha soste­nuto il pre­si­dente del Con­si­glio, che ha poi mal­de­stra­mente citato l’intervento alla Camera di mer­co­ledì del segre­ta­rio gene­rale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, per aval­lare la sua decisione.

Avrebbe fatto meglio, Renzi, a citare se stesso: il primo giu­gno di quest’anno, alla vigi­lia della festa della Repub­blica, durante una visita ai mili­tari ita­liani della base di Camp Arena a Herat, nell’Afghanistan occi­den­tale, Renzi aveva chie­sto loro «un sacri­fi­cio ulte­riore». Ancora pochi mesi, diceva a giu­gno, per non dis­si­pare inu­til­mente «i suc­cessi otte­nuti in Afgha­ni­stan». Venerdì ci ha ripen­sato. Non si tratta di pochi mesi: i 750 sol­dati ita­liani impe­gnati tra Herat e Kabul dovranno restare ancora un altro anno. Non tor­ne­ranno a casa entro la fine del 2015, come pre­vi­sto. Sem­pre che il Par­la­mento dia via libera al pro­lun­ga­mento della mis­sione italiana.

Pre­ve­di­bili, su que­sto punto, le rea­zioni poli­ti­che. Per ragioni diverse, sia Igna­zio La Russa, già mini­stro della Difesa con pose dan­nun­ziane, sia Arturo Scotto, capo­gruppo di Sel alla Camera, hanno ricor­dato che la deci­sione «deve pas­sare per il Par­la­mento». Il pas­sag­gio par­la­men­tare potrebbe essere l’occasione buona per chie­dere conto della pre­senza ita­liana in Afgha­ni­stan; per ria­prire la discus­sione sui risul­tati di una guerra che – con­tra­ria­mente a quanto sostiene il pre­si­dente del Con­si­glio – non ha por­tato nulla di buono. Per rico­no­scere, final­mente, che l’occupazione mili­tare è stata fallimentare.

Basta esa­mi­nare i fatti, al netto della reto­rica e della pro­pa­ganda. I com­piti della «mis­sione inter­na­zio­nale» sono stati tanto più ela­stici quanto più evi­denti le dif­fi­coltà sul campo. Ma almeno tre sono rima­sti costanti, in que­sti 14 anni: pro­teg­gere la popo­la­zione locale; con­so­li­dare le isti­tu­zioni demo­cra­ti­che; scon­fig­gere i movi­menti anti-governativi e i gruppi ter­ro­ri­stici. Sul primo punto par­lano, per quanto par­ziali, le sta­ti­sti­che di Unama, la mis­sione dell’Onu a Kabul: le vit­time civili, anzi­ché dimi­nuire, con­ti­nuano ad aumen­tare, ogni anno. Sul secondo punto: il governo afghano è tra i più cor­rotti e inef­fi­cienti al mondo, men­tre il governo di unità nazio­nale — impo­sto dal segre­ta­rio di Stato ame­ri­cano John Kerry – ha isti­tu­zio­na­liz­zato l’antagonismo tra il pre­si­dente Ghani e il quasi primo mini­stro Abdul­lah. Anche sul terzo punto il fal­li­mento è totale: i Tale­bani sono vivi e vegeti; hanno supe­rato indenni la bur­ra­scosa suc­ces­sione al ver­tice tra il mul­lah Omar e mul­lah Man­sour, e sono riu­sciti a con­qui­stare per alcuni giorni una città impor­tante come Kun­duz. Intanto, comin­cia a farsi seria anche in Afgha­ni­stan la minac­cia dello Stato islamico.

Renzi sostiene che l’Italia sia un grande paese, che in quanto tale abbia il dovere di inter­ve­nire, di mostrare i muscoli, di seguire le scelte della Casa Bianca e del Pen­ta­gono. É vero il con­tra­rio: un grande paese archi­via i para­digmi insen­sati e ne pro­pone di nuovi. Renzi il rot­ta­ma­tore dovrebbe rot­ta­mare la vec­chia equa­zione che in poli­tica estera asso­cia rea­li­smo e mili­ta­ri­smo, l’idea che la poli­tica estera sia schiac­chiata sulla poli­tica della difesa, che la difesa sia soltanto«sicurezza», intesa in ter­mini mili­tari. Invece pre­fe­ri­sce obbe­dire a Obama. Sem­pre sull’attenti.

Fonte: http://ilmanifesto.info

17 ottobre 2015

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